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AI SOGNATORI!!! (2° parte)
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mari27



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MessaggioInviato: Gio Mar 07, 2013 21:46    Oggetto: Rispondi citando


-

Donna

Donna, non sei soltanto l'opera di Dio,
ma anche degli uomini, che sempre
ti fanno bella con i loro cuori.
I poeti ti tessono una rete
con fili di dorate fantasie;
i pittori danno alla tua forma
sempre nuova immortalità.
Il mare dona le sue perle,
le miniere il loro oro,
i giardini d'estate i loro fiori
per adornarti, per coprirti,
per renderti sempre più preziosa.
Il desiderio del cuore degli uomini
ha steso la sua gloria
sulla tua giovinezza.
Per metà sei donna,
e per metà sei sogno.


- R. Tagore -



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mari27



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MessaggioInviato: Ven Apr 26, 2013 15:13    Oggetto: Rispondi citando






Onore a una grande Signora del teatro.


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mari27



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MessaggioInviato: Ven Apr 26, 2013 15:13    Oggetto: Rispondi citando





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mari27



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MessaggioInviato: Ven Apr 26, 2013 15:15    Oggetto: Rispondi citando


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mari27



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MessaggioInviato: Ven Apr 26, 2013 15:25    Oggetto: Rispondi citando






Non c'è nulla di più prezioso del tempo, poiché è il prezzo dell'eternità.



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mari27



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MessaggioInviato: Gio Giu 13, 2013 08:51    Oggetto: Rispondi citando


-

.....a volte i sogni ...hanno la forza di ......uno schiaffo in pieno volto.....




IL SOGNO ITALIANO



Quella che andiamo a raccontare è la vita di un uomo che scorre lungo oltre novant’anni di Storia italiana.

E’ una piccola storia nella grande Storia.

E’ la storia di un sogno coltivato fin da bambino, di una speranza maturata già da ragazzo, di una scelta precisa, di una scelta di campo compiuta da adulto.

E’ la storia di una rivoluzione umana, di una rivolta e di una ribellione che non si è mai spezzata.

E’ una storia di un desiderio di cambiamento, di un’idea mai sopita.

E’ la storia di un’indignazione mai cancellata dalle ingiurie degli anni.
Questa è la storia di una vita, che vale per tutti.

Questa è la storia di un sogno italiano che non si è mai frantumato.

Per chi c’era, per chi non c’era, per chi non era ancora nato.

Questa è una storia raccontata a chi deve ancora nascere.

Per costruire Ponti di memoria.

Perché nulla vada dimenticato.

Un vecchio cammina per le strade di Milano.

E’ estate, c’è poca gente in giro.

Quel vecchio ha oltre novant’anni.

E’ ormai stanco, si appoggia ad un bastone di legno scuro.

La sua barba è bianca, le rughe gli ricoprono il volto che pare una statua scolpita dal vento.

Le gambe e il corpo sono incurvati, la schiena è piegata, gli occhi restano quasi socchiusi, due minuscole fessure che inquadrano la strada.

Il vecchio porta un cappello di paglia, giacca e pantaloni di lino bianchi, una borsa.

E’ stanco, ma cammina adagio e tira avanti con la testa bassa.

Così il vecchio si siede su una panchina di un giardinetto.

Ad un tratto si sente un colpo forte.

Puummmm.

Il pallone sfiora di poco la testa del vecchio.

Il suo cappello di paglia cade in terra.

Gran parte dei ragazzi si nascondono subito dietro ai cespugli, ridacchiano per qualche minuto, poi se la danno a gambe.

Ma il più grande capisce di aver spaventato il vecchio, lo raggiunge, raccoglie il cappello di paglia, recupera il pallone finito a qualche metro. Poi si siede con lui sulla panchina e gli chiede scusa.

Gli pare suo nonno che se ne è andato da poco.

E scorrono i suoi ricordi.

D’improvviso, al ragazzo viene in mente quando ascoltava in silenzio i racconti del nonno davanti al camino, quelle storie che sapevano di vento e di sale, di amori, di amicizie, di guerre e di speranze.

Ora sono seduti vicini sulla panchina verde di un giardinetto.

Il vecchio prende la borsa, la apre e ne tira fuori un libro, un piccolo libretto di una trentina di pagine. Glielo porge. “Questo è per te, se lo vuoi. L’ho scritto io qualche anno fa. No, in libreria non lo troverai mai. L’ho fatto stampare personalmente. E ogni tanto lo regalo. Tienilo. E leggilo se vuoi.”. Il ragazzo prende il libro, legge il titolo in copertina: “Ponti di Memoria”. Sfoglia la prima pagina: “Un Sogno Italiano”. Sotto, una piccola dedica che recita: “Dedicato al figlio che non ho mai avuto”.

Sono uno degli ultimi ancora vivo.

Ero il più giovane, avevo diciotto anni.

In Europa regnava il fascismo e il nazismo.
In Italia e in Germania, Benito Mussolini e Adolf Hitler avevano arrestato, torturato, ucciso militanti dell’opposizione: intellettuali, parlamentari, sindacalisti.

I loro soldati assaltavano le camere del lavoro, bruciavano i libri in piazza.

Ormai controllavano tutto e per noi antifascisti c’era solo l’esilio.

Vivevo da anni in Francia con la mia famiglia di Emigranti, povera gente partita dal Veneto per cercar fortuna.

La mia presa di coscienza iniziò prima in Francia e poi in Spagna durante gli anni della guerra civile.

Il Governo progressista spagnolo del Frente Popular era stato eletto dai cittadini.

In modo legittimo, con elezioni libere.

Era formato da cattolici, repubblicani, socialisti, comunisti.

Ma i miliziani guidati da Francisco Franco si rivoltarono contro i repubblicani e inizio’ la guerra civile.

Spagnoli contro spagnoli.
Un bagno di sangue tra fratelli.

Mussolini e Hitler erano al fianco di Franco con soldati, munizioni, armamenti di ogni tipo.

Cosa potevamo fare noi giovani?

Dovevamo andare in Spagna e combattere il fascismo.

Era il 1936.

Quando arrivai in Spagna venni inquadrato nelle Brigate Internazionali.

C’erano persone arrivate da tutto il mondo.

C’erano uomini leggendari che avrebbero fatto la Storia, scrittori come Dos Passos, George Orwell, Ernest Hemingway, intellettuali e politici americani, francesi, inglesi, naturalmente italiani come Luigi Longo, Giovanni Pesce, Guido Picelli, quello che organizzo’ le barricate a Parma.

Ci trovammo tutti insieme.
E tutti insieme avevamo un sogno: fermare il fascismo, bloccare il nazismo, distruggere ogni dittatura, portare ovunque l’idea della democrazia..

Forse, se avessimo vinto non si sarebbe arrivati alla seconda guerra mondiale.

E invece no.

E invece abbiamo perso.

Ricordo la battaglia della valle del fiume Ebro dove i miei amici venivano uccisi al mio fianco.

E io andavo avanti, sguardo fisso, un moschetto in mano, poche munizioni, ma andavo avanti, sotto la pioggia, con il sole che spaccava le pietre, con il vento che ti modellava il volto.

Io andavo avanti.

Ah…la guerra civile in Spagna.

1,4 milioni di morti, 500mila case distrutte, 183 città gravemente devastate, 500mila esiliati, 1,2 milioni di persone incarcerate.

Gran parte dei combattenti antifascisti vennero internati nei campi di concentramento in Francia.

Lì tornai, dopo mille peripezie, vicino alla mia famiglia di migranti veneti.

Intanto Mussolini attaccava la Grecia, infilandosi in un tunnel senza alcuno sbocco, in conflitti sempre più costosi e fallimentari sul piano militare, come quelli in Libia, Tunisia, Africa Orientale, Russia, mentre gli italiani pativano freddo, miseria, fame, morte.

Cosa potevo fare?
Tornai in Italia e i fascisti mi arrestarono.

Feci il giro delle carceri.

Ventotene, Ustica, Ponza.

Oggi sono isole dove d’estate si fa il bagno, ma allora eravamo tutti rinchiusi in penitenziari, con piccole finestre dove da lontano si sentiva solo il rumore del mare.

Scoppiò la seconda guerra mondiale.

L’Italia fascista era a fianco della Germania nazista e del Giappone.

Poi gli angloamericani bombardavano le nostre città.

Erano quasi tutte rase al suolo.

Per tre anni rimasi in carcere, fino al 25 luglio 1943 quando cadde il fascismo.

Ovunque, le manifestazioni di piazza salutavano la caduta del regime fascista.
Ci liberarono e iniziai a vagare per l’Italia.

La sera dopo mi ritrovai a Torino quando l’avvocato Duccio Galimberti, durante un comizio, disse che “la guerra continuava fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista”.

A me era tutto chiaro.

Anche dopo l’armistizio dell’8 settembre.

Andai sopra le montagne di Demonte, in provincia di Cuneo.

Divenni partigiano di Giustizia e Libertà.

Per la prima volta noi ragazzi avevamo la possibilità di pensare al destino del nostro Paese.

Eravamo quasi tutti ignoranti, non avevamo studiato, ma in quei venti mesi in montagna abbiamo avuto le prime illuminazioni, in quei mesi cominciavamo a capire tante cose.

Durante il fascismo eravamo stati indottrinati a suon di retorica e di nazionalismo.
Improvvisamente ci aprivamo alla cultura.

Leggevamo i libri di Pietro Gobetti e Carlo Rosselli. E tutto ciò avveniva in un momento in cui ognuno di noi pensava a come cavarsela, a come portare a casa la pelle.

Eravamo in azione giorno e notte.

Prendevamo e sotterravamo armi dappertutto: nei boschi, nelle baite di montagna, negli scantinati dei palazzi delle città. Ci procuravamo farina, lardo, pane, benzina. Scambiavamo sale con olio e olio con munizioni. Cercavamo vestiti, scarpe, calzettoni di lana, tagliavamo legna, cuocevamo cibo per centinaia di persone, fabbricavamo letti con tronchi di pino e sacchi di paglia e di foglie, ci curavamo dalla scabbia, dai pidocchi.
E poi sparavamo precisi senza consumare colpi inutili, tenevamo le armi in sicurezza, abbandonavamo e conquistavamo postazioni, fuggivamo da attacchi improvvisi dei nazifascisti, ci sganciavamo dai rastrellamenti, ci lanciavamo in dirupi scoscesi, bui e spaventosi, con zaini pesanti, sotto piogge torrenziali e nevicate, sotto il sole caldo di agosto, organizzavamo imboscate contro il nemico, il fuoco concentrico contro l’autista, le coperture laterali, l’arresto dei soldati, la fuga.

Come un lavoro a tempo pieno.

All’inizio eravamo in pochi, gruppi sparsi, bande e poco piu’.

Poi diventammo un esercito.

Eravamo certi che la nostra presenza tra i ribelli fosse questione di pochi mesi, perché sarebbero intervenuti subito gli anglo-americani e ci avrebbero liberati.

E invece no.

E invece la nostra guerra andò avanti fino al 25 aprile 1945, fino ai giorni della Liberazione e della libertà conquistata
In montagna, di sera davanti al fuoco dei nostri bivacchi di montagna, sognavamo e parlavamo di un paese migliore. Un paese democratico, solidale, dove i diritti dell’uomo non venivano calpestati, dove le condizioni dei lavoratori fossero migliori, dove c’era vera giustizia sociale.

Era il sogno di quella parte di italiani che aveva combattuto fascismo e nazismo e che voleva costruire da subito un paese libero, senza più guerre.

Per noi, pur nell’esultanza del sogno che avevamo lungamente atteso, non era facile cambiare vita, abitudini, riacquistare in pochi minuti, in qualche ora, la disinvoltura, la naturalezza che il futuro ci prometteva, noi che l’insurrezione l’avevamo preparata quando ancora le divise tedesche della Wehrmacht torreggiavano insolenti dai carri armati che sembravano invincibili.
Il ragazzo continua a leggere. Legge e intanto tira gli occhi verso la parte opposta dei giardini, dove ancora scorge la sagoma di quello strano vecchio che gli sembra immobile, assopito nel suo pezzo d’ombra di platano, al riparo dal caldo. Chissà perchè quei racconti non stanno scritti in nessun suo libro di testo scolastico. Chissà perché.

Due italiani. Due italiani con tante generazioni in mezzo seduti ai lati di un giardino pubblico. Entrambi protetti, all’ombra di un grande platano.

Il racconto scritto dal vecchio è serrato, come fosse la sceneggiatura di un film in bianco e nero, una pellicola dove non c’è posto per cose melense, futili, inutili.

Il vecchio lo scorge di lontano e in cuor suo gli ha già perdonato quel pallone che gli ha sfilato il suo cappello di paglia.

Pensa che se quel ragazzo resta lì a leggere il suo racconto, forse c’è un motivo.

Del resto, perché uno di quindici anni deve stare lì a sorbirsi le storie di un vecchio che neppure conosce. Chissà.
Forse perché gli ricorda qualcuno, magari suo nonno.

Forse……

Finita la guerra pure l’aria pareva più pura, persino la natura più bella; quanta fiducia negli uomini, quanta speranza che fosse sorta l’era della buona volontà, dei disinteressati, con le ambizioni oneste, per cui gli alti uffici fossero un dovere e una missione.

Ma fu lo spazio d’un solo mattino……

Perché gran parte delle città del nord erano distrutte.

Perché ponti, strade, impianti, fabbriche, case, beni artistici erano danneggiati in modo grave.

Perché le condizioni di vita della popolazione erano difficili: miseria, fame, disoccupazione ovunque.

L’economia che riprendeva con grande lentezza e l’Italia che restava divisa in due.

Nella parte settentrionale e centrale, vi erano sogni e speranze di grande cambiamento.
I cittadini, pur nella povertà assoluta, non intendevano tornare all’Italia liberale precedente al fascismo. Volevano in sostanza una democrazia più aperta.

Ma al Sud, la società era rimasta ferma, immobile: le classi dirigenti tradizionali, appoggiate dagli alleati, avevano mantenuto il loro predominio politico e sociale.

Qualcosa doveva pur cambiare nella Storia e nella mia vita.

Al referendum gli italiani scelsero la Repubblica contro la monarchia.

Venne varata la Costituzione. Il pilastro della nostra democrazia nata dalla Resistenza. Ed io venni assunto alla Fiat di Torino, come operaio specializzato.

Mi sposai, non ebbi figli e dunque neppure nipoti.

Le aspettative di cambiamento sfociarono in durissime lotte sociali.
I braccianti del Sud chiedevano una riforma agraria.

Gli operai del Nord chiedevano diritti e un salario più equo.

Le lotte vennero invece represse dalle forze dell’ordine.

Ci furono morti, feriti, stragi in varie parti del paese.

In Sicilia, a Portella della Ginestra, il 1 maggio 1947, gli uomini del bandito Salvatore Giuliano spararono contro una manifestazione del sindacato, proprio nel giorno della festa dei lavoratori. 11 morti, 27 feriti.

Già in quei giorni, tutti i nostri sogni vennero disattesi.

Diceva Manfredi nel libro “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa:

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

Proprio così, tutto deve cambiare perche’ nulla cambi.
Così è accaduto in Italia, fino agli anni del boom economico, quando a tutti ci pareva di esser perfino ricchi.

Dalla metà degli anni Cinquanta tutto iniziò a girare velocemente.

Fin dal 1953, il piano Mashall aveva dato la prima spinta al paese.

Quattro anni dopo l’Italia entrò nel Mercato Comune.

Nel giro di pochi anni l’Italia si posizionò al settimo posto tra i paesi più industrializzati.

Si registrò una crescita dei settori tessile, nella siderurgica, nella meccanica, nella chimica, nell’ edilizia.
Vennero scoperte nuove forme di energia.

Nella pianura padana, Enrico Mattei sviluppò le tecnologie che permisero di scoprire il metano.

L’acciaio veniva esportato a basso costo perché basso era il costo del lavoro.

Tutti assumevano, tutti compravano, tutti consumavano.

La televisione, la macchina, la casa in affitto e poi comprata col mutuo, le vacanze al mare e in montagna.

Ci pareva di essere ricchi, noi popolo di poveracci e di sconfitti che solo pochi anni prima eravamo in gran parte disoccupati e dovevamo lasciare il paese per cercare lavoro e fortuna nel mondo: negli Stati Uniti, in Argentina, in Venezuela

Ma..c’è un ma…..

E’ vero…il boom aveva fatto entrare nel mondo moderno del benessere un numero maggiore di italiani, ma erano pur sempre una minoranza.
Un quarto della popolazione aveva raggiunto un livello di vita decente, secondo i modelli di vita dell’Europa occidentale, ma la maggioranza rimaneva ben al di sotto di questo standard e una parte notevole viveva ancora sotto i limiti della sopravvivenza.

E poi le campagne si spopolavano, i costumi si modificavano in modo brusco, il consumismo diventava sfrenato e la speculazione edilizia trasformava le nostre città in giungle di asfalto.

E oltre 9 milioni di cittadini delle zone del Sud migrarono verso le grandi città del Nord. Alla Fiat di Torino, dove lavoravo io, i dialetti si mischiavano.

E proprio nelle grandi città nascevano le grandi contraddizioni.

Alla rapida ascesa dei consumi privati non corrispose la qualità dei servizi nella sanità, nei trasporti. Le case popolari diventavano un miraggio, e i diritti erano sempre pochi.

Il malcontento divenne sempre più forte, fino alle lotte studentesche del 1968 e all’autunno caldo degli operai nel 1969.

Il 1969 è stato l’anno degli scioperi, dei cortei di operai e studenti in tutto il paes, Le rivendicazioni del salario garantito e di un lavoro per tutti degli operai, il diritto allo studio chiesto da milioni di giovani delle scuole medie superiori e delle università.

Tutto avveniva nel triangolo industriale: Torino, Milano, Genova.

Lì le lotte diventavano più calde.

Il 1969 è stato l’anno delle bombe.

Dal 3 gennaio al 12 dicembre se ne contarono 145, una ogni tre giorni.

Per 96 la responsabilità accertata era dell’estrema destra.

Il 15 aprile ne scoppiava una nell’ufficio del Rettore dell’Università di Padova.

Il 9 aprile a Battipaglia venivano uccisi 2 lavoratori e 119 persone arrestate.

Il 25 aprile, alla Fiera di Milano,un ordigno ad alto potenziale provocava il ferimento di venti persone.

In agosto venivano piazzati dieci ordigni sui treni:otto esplodevano e colpivano dodici passeggeri.

Un clima incandescente sul piano politico.

Il 12 dicembre scoppiava una bomba nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano, in piazza Fontana.

17 morti e 88 feriti.

E proprio nel momento di maggiore cambiamento sociale, la strage di piazza Fontana ci faceva diventare vecchi.

Ma l’Italia reagiva, non restava a guardare.

L’Italia si indignava e scendeva in piazza, come sempre.

Si fermavano tutte le fabbriche per i funerali delle vittime.

Le inchieste si indirizzarono verso gli anarchici, ma la bomba era stata messa dai fascisti di Ordine Nuovo.
Veniva arrestato il ballerino anarchico Pietro Valpreda e il ferroviere Giuseppe Pinelli, pure lui anarchico, volava dal quarto piano della Questura di Milano durante un interrogatorio.

Il fascismo di ieri, quello che avevo combattuto in Spagna e sui monti intorno a Cuneo, si trasformava nel fascismo del presente, due facce della stessa medaglia.

E ad oggi, per la strage di piazza Fontana non vi è alcuna giustizia.

Giunsero gli anni Settanta e io diventavo più vecchio.

Dopo il boom e il miracolo economico arrivò il tempo delle ristrutturazioni aziendali.

Migliaia di persone persero il lavoro e dovettero riciclarsi in altri settori.

Come me, da operaio specializzato ad artigiano.
La crisi petrolifera fece il resto.

La chiamarono “Austerity economica”.

Era il 1973.

Mi ricordo che le auto non potevano circolare di domenica, i programmi televisivi chiudevano alle 23, l’illuminazione stradale e commerciale era ridotta, le luci erano fioche.

Le biciclette ebbero il loro momento di gloria e sfilavano silenziose fra le macchine immobili. A poco a poco, strani mezzi di locomozione, improbabili tandem, monopattini piuttosto che calessi a pedali, s’impossessavano dell’asfalto cittadino.

Tutto pareva strano ma gli italiani riscoprivano l’umanità e la solidarietà.

Tornammo un popolo di poveracci, sconfitti e per di più illusi dal boom economico.
Intanto le lotte sindacali e le manifestazioni studentesche diventavano ancora più dure.

E la polizia tornò a sparare contro giovani e operai.

A Milano, Torino, Genova, Roma, ovunque, per tutti gli anni Settanta.

Decine di persone assassinate, senza giustizia.

Ma ad uccidere non fu solo la polizia.

Entrò in scena la destra eversiva, coperta dai servizi segreti e da pezzi dello Stato.

Stragi, tentati colpi di stato, piani eversivi.

La notte dell’8 dicembre 1970 il principe Junio Valerio Borghese tentava un colpo di Stato ma veniva fermato in extremis.

Il 22 luglio 1970 esplodeva una bomba sul treno Freccia del Sud a Gioia Tauro.
Il 31 maggio 1972, Ordine Nuovo organizzava un attentato contro quattro carabinieri.

Il 17 maggio 1973, Gianfranco Bertoli lanciava una bomba a mano davanti alla Questura di Milano. 4 morti.

Il 28 maggio 1974, un bomba scoppiava in un cestino dei rifiuti a Brescia, in Piazza della Loggia . 8 morti, 94 feriti.

Il 4 agosto 1974, dentro un vagone di seconda classe del treno Italicus esplodeva una bomba ad alto potenziale. 12 morti, 100 feriti.

Fino alla strage più grave, quella del 2 agosto 1980, alla stazione di Bologna.

85 morti, 200 feriti.

Per la quasi totatlita’ di queste stragi i tribunali non vollero condannare i responsabili, i cui nomi erano gia’ scritti nelle inchieste dei magistrati.

Nessuna giustizia, ma una verita’ storica.
I fascisti, protetti dagli apparati dello Stato, colpirono vittime innocenti per fermare le idee di cambiamento che venivano espresse da larga parte dei cittadini.

Anche nella sinistra radicale c’era chi inneggiava alla violenza armata.

Dicevano di ispirarsi a noi partigiani, ma era solo demagogia.

Noi combattevamo il fascismo e il nazismo in un paese occupato sul piano militare, dove non uscivano i giornali, i partiti di opposizione erano messi al bando, i loro militanti uccisi, incarcerati oppure costretti al confino.

Brigate Rosse, Prima Linea, Formazioni Comuniste Combattenti e decine di gruppi della lotta armata erano solo degli assassini che spesso colpivano personaggi progressisti e democratici, riformisti.

In dieci anni ci fu in Italia un escalation di morti e di feriti.

131 persone furono uccise dal terrorismo di sinistra. Oltre 2000 feriti.
Caddero uno dopo l’altro magistrati, guardie carcerarie, poliziotti, carabinieri, giornalisti, politici.

L’attacco al cuore dello Stato arrivo’ la mattina del 16 marzo 1978.

Le Brigate Rosse rapirono il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e liquidarono gli uomini della sua scorta a Roma, in via Fani.

Per 55 giorni i brigatisti trattarono il rilascio di Moro, ma nello Stato e tra i maggiori partiti prevalse il partito della fermezza.

Il corpo senza vita di Moro venne fatto trovare nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani, tra via delle Botteghe Oscure, sede del Partito Comunista Italiano, e piazza del Gesu’, sede della Democrazia Cristiana.

Ogni giorno radio e televisione facevano la cronaca della carneficina.

Li chiamarono gli anni di piombo.

Nella notte della Repubblica tutti avevano paura
Il buio del labirinto fini’ solo verso il termine degli anni Settanta, quando lo Stato arresto’ gran parte dei terroristi di sinistra grazie a leggi speciali e di polizia, l”utilizzo spregiudicato dei pentiti, la repressione, il carcere duro nell’isola sarda dell’Asinara.

Poi, con gli anni Ottanta, il riflusso annullo’ l’impegno civile.

Alla Fiat di Torino scattarono i licenziamenti politici.

La direzione della casa automobilistica invio’ lettere di licenziamento a sindacalisti e ai maggiori protagonisti delle lotte operaie degli anni Settanta. Fu un colpo al cuore ai diritti.

La fabbrica venne occupata per settimane dai lavoratori che presidiavano i cancelli giorno e notte.

Poi avvenne quello che in pochi si attendevano: quaranta mila tra impiegati e quadri dirigenti scesero in piazza per fermare l’occupazione degli operai. E ci riuscirono.

Il Partito Comunista Italiano e la Cgil persero il referendum sulla scala mobile.
Nel Partito Socialista, vecchi capi storici come Riccardo Lombardi e Pietro Nenni vennero messi da parte.

Emergevano nuovi leader come Bettino Craxi che condiziono’ con i suoi comportamenti la politica italiana per oltre un decennio.

Il segretario del Pci Enrico Berlinguer sollevo’ la questione morale e critico’ duramente i compromessi tra affari e politica, sempre piu’ marcati e piu’ evidenti.

Berlinguer mori’ durante un comizio a Padova.

Andai ai suoi funerali che si trasformarono nella piu’ grande e imponente manifestazione di popolo mai avvenuta in Italia.

Milioni di persone sfilarono lungo le strade e le piazze di Roma.
Avevamo preso treni, macchine, navi, aerei per l’ultimo saluto ad un politico onesto e coraggioso. Ogni tanto mi capita di pensare a quel partito dove sono stato iscritto per tanti anni. Quanta gente diversa ci ho visto dentro. Uomini che sognavano l’Unione Sovietica insieme a quelli che volevano solo un paese occidentale più giusto e più democratico. Quante contraddizioni, quante discussioni, quanti sogni. In tutto questo, in mezzo a tanti errori, il vero grande desiderio di un paese più giusto, più democratico, più civile, dove il lavoro fosse un valore che serviva per riscattarsi e migliorare la propria vita e quella degli altri. E dunque per rendere migliore questo nostro paese.

Vennero nuovi tempi e vennero anche nuovi governi gestiti da una classe politica che seguiva soprattutto le logiche della spartizione di potere ed affari.

E infatti giravano molti, troppi soldi e non si sapeva da dove arrivasse tutta quella improvvisa ricchezza. Anzi, lo si seppe qualche anno dopo. Ricchezza, costruita sui debiti, meglio, costruita su quel debito pubblico che da vent’anni impedisce alle nuove generazioni di costruirsi un futuro. Ma in quel periodo la Borsa inizio’ a tirare e perfino i ceti medi investivano in azioni.
Tutti sembravano piu’ ricchi, con belle macchine e doppia casa, ma come sempre era solo apparenza.

La sveglia arrivo’ il 17 febbraio 1992.

Sembrava uno dei tanti arresti per corruzione.

Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, una casa di riposo per anziani, veniva trovato con le mani nella marmellata.

E la marmellata era una tangente consegnata da un imprenditore di una societa’ di servizi.

In pochi pensarono che Chiesa, in realta’, era uno dei collettori di mazzette che agiva per conto dei banditi che comandavano. Lui, come tanti altri, era una delle tante pedine di un sistema piu’ complesso e perfettamente oleato di finanziamento illecito della politica attraverso appalti pubblici e privati.

La chiamarono Tangentopoli.

Nome in codice, Operazione Mani pulite.
In pochi mesi, il pool dei magistrati di Milano titolari delle indagini sulla corruzione, arrestarono e misero sotto accusa centinaia tra politici, imprenditori, funzionari dello Stato, faccendieri, manager di grandi aziende.

Un terremoto di proporzioni devastanti.

I corrotti resistettero per qualche mese ma poi gran parte di loro dovette ammettere davanti ai magistrati i reati contestati.

Personaggi di primo piano dell’economia entravano con la loro valigetta nel carcere di San Vittore e uscivano dopo aver vuotato il sacco.

Il sistema crollo’ in breve tempo e tutti i partiti piu’ importanti della prima repubblica dovettero sciogliersi.

Tutti pensammo che qualcosa stesse davvero cambiando.

Una rivoluzione epocale.
C’era in noi la speranza che una nuova classe politica pulita e onesta prendesse il posto di quella vecchia e corrotta.

E invece anche questa volta nulla cambio’.

Anzi, torno’ il terrore.

Il 23 maggio 1992, in piena Tangentopoli, la mafia colpi’ lo Stato.

Cinquecento chilogrammi di esplosivo, inseriti in un canale di scolo dell’autostrada Palermo – Trapani, uccisero il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.

Il 19 luglio 1992, tocco’ al giudice Paolo Borsellino in via D’Amelio, sempre a Palermo.

Ma anche in quei giorni l’Italia non abbasso’ la testa.

Un moto d’indignazione percorse il paese.

Manifestazioni imponenti si tennero a Palermo e in tutta Italia.
La mafia alzo’ di nuovo il tiro.

Nel 1993, colpi’ a Roma, in via Fauro, a Firenze in via dei Georgofili, in via Palestro a Milano.

E ancora a Roma contro le chiese del Velabro e del Laterano.

Morti, feriti, chiese e opere d’arte distrutte.

Ma gli italiani non si lasciarono intimorire.

La mafia sembro’ piu’ isolata, scattarono le indagini, vennero arrestati i boss responsabili delle stragi.

Tutto sembrava cambiare.

E invece no.

Una nuova classe politica nasceva dalle ceneri della vecchia ormai demolita dalle inchieste.

L’uomo si era perfino costruito un mausoleo dove mettere il suo cadavere da morto.
Aveva messo in piedi un impero televisivo dal nulla.

Aveva accumulato un numero imprecisato di quattrini attraverso la speculazione edilizia e il malaffare.

Alla fine si era fatto un partito a sua immagine e somiglianza.

C’era l’inno, sventolavano le bandiere, le campagne elettorali si svolgevano all’americana, e il magnate, insultava dai teleschermi gli avversari che chiamava nemici e dava del coglione a chi votava contro di lui.

I militanti del suo partito erano come lui, invasati e populisti, ma erano italiani.

Gli uomini in completo blu, cravatta azzurra e camicia bianca.

Le donne belle, appariscenti, possibilmente bionde, vestite in modo elegante.

Le sue gaffe fecero il giro del mondo.

Si rideva per non piangere.

Voleva incontrare Alcide Cervi, il padre dei sette fratelli uccisi nel 1944 dai fascisti, che era morto molti anni prima.

Diceva che Ventotene era un gran bel luogo di vacanza e si dimenticava che per molti anni gente come me era stata rinchiusa in carcere in quell’isola.

Sosteneva che i comunisti mangiavano i bambini, ma frequentava un ex capo del servizio segreto russo diventato oligarca.

Dava del capo’ al presidente del gruppo socialdemocratico all’Europarlamento.
Trasformava le sue residenze in bordelli a cielo aperto.
Governava il nostro paese per 17 anni con l’appoggio di ex fascisti da lui sdoganati e dei leghisti.
La Lega. Partita per cambiare l’Italia con l’idea del federalismo e diventata un partito che col tricolore vuole pulirsi il c....
Partita dalla difesa dell’identità locale e arrivata all’odio per gli extracomunitari possibilmente da ributtare in mare. Un brutto film. Un brutto film sostenuto dall’idea più stupida e più antidemocratica che un uomo possa partorire e cioè quella che si possa governare un paese come si dirige un’azienda. Infatti ne arrivò un fallimento.

Ma gli italiani lo amavano e lo votavano.

E diventavano sempre piu’ poveri, perdevano il lavoro, chiudevano le fabbriche, i consumi si fermavano, anzi regredivano, la disoccupazione giovanile raggiungeva livelli record, i diritti dei lavoratori diminuivano.

Nel pieno della piu’ grave crisi economica del dopoguerra, proprio la crisi, non gli italiani, lo caccio’ via.

Oggi che sono quasi alla fine dei miei giorni mi chiedo che ne sara’
dell’ Italia.
E vivo un presente dove la gente non vede futuro.

Ma il futuro e’ la somma del passato e del presente.

Il futuro e’ imprescindibile da quello che sei stato e da quello che sei ora.

Segui il comportamento del nostro popolo.

Nel ventennio di tanto tempo fa quasi tutti erano fascisti.

Dopo la liberazione, quasi tutti divennero democratici.

Poi in gran parte divennero democristiani e loro alleati.

Italiani che denunciavano il malaffare ma votavano, complici e sudditi, per chi lo gestiva.

Poi negli anni Novanta diventarono tutti anti partiti, inneggiando ai magistrati anticorruzione. E simboli e capi di quei partiti furono fatti fuori o costretti a lasciare il campo alle seconde linee cresciute dietro di loro.
Allora trovarono un nuovo eroe, ricco, famoso, potente.

E lo votarono. E vennero ancora una volta fregati.

E oggi?

Oggi gli italiani pensano che i partiti sono tutti uguali e che non ci sono differenze tra chi e’ stato responsabile dei disastri del paese e chi ha combattuto con ogni mezzo la corruzione, il degrado, gli scempi ambientali, la spartizione delle cariche pubbliche, le mafie, i poteri occulti.

Ma non sono tutti uguali. No, non siamo tutti uguali.

Non e’ colpa nostra se i giovani dovranno lavorare per anni senza un futuro e senza la prospettiva di una pensione.

Non è colpa nostra se manager di Stato prendono stipendi da miliardari e, se sbagliano, vengono mandati a casa con lauta buona uscita.
Non siamo noi quelli che chiudevano gli occhi quando il debito pubblico si ingigantiva, quando le pensioni si abbassavano, quando il tasso di disocupazione saliva, quando solo una casta di amici degli amici si spartiva il potere con il malaffare.

Non siamo noi che abbiamo venduto il sogno di un paese migliore.

Non siamo noi che ve l’abbiamo rubato.

Non è con le mie mani che è stato ammazzato il futuro che vi è stato tolto.

Non è nella nella mia storia di resistente, di emigrante, di operaio, di contadino, di artigiano e anche di vecchio scrittore di memoria che potrai trovare il male.

E non è neppure dentro ai tanti errori della mia vita che troverai il male.

Perché, se scaverai dentro di me, troverai soltanto un uomo che ha lottato e vissuto in nome di un sogno.

E questo sogno era il sogno chiaro e pulito di un paese migliore.

E, come ultima cosa, ti direi che spenderei ancora il poco tempo che mi resta proprio per costruire insieme a te questo sogno.

Ma, sappi che saper sognare vuol dire anche saper resistere e saper gridare.

Il ragazzo ora alza gli occhi da quel piccolo libro che ha appena finito di leggere. Ora cerca con lo sguardo il vecchio dall’altra parte dei giardini pubblici, ma ormai da qualche minuto lui se n’è andato.

E’ quasi sera.

Il ragazzo cammina verso casa sua, in una mano c’è un pallone e nell’altra c’è un libro.

Nella sua testa e nel suo cuore forse un giorno ci sarà un sogno.
Lo stesso sogno di quel vecchio. Lo stesso sogno dei ponti. I ponti della memoria.



( di Daniele Biacchessi )

( Una produzione Associazione “Ponti di memoria” )

da il Sole24ore


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marystone



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MessaggioInviato: Gio Giu 13, 2013 23:54    Oggetto: Rispondi citando


grazie mari......
non ci resta che continuare a sognare un futuro migliore per questo Paese......
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mari27



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MessaggioInviato: Ven Giu 14, 2013 10:13    Oggetto: Rispondi citando


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Sì, Mary!
......ma dobbiamo anche impegnarci affinchè " il sogno italiano".....possa in qualche modo continuare! .....non è/non sarà facile!.....ma lo dobbiamo a chi c'è stato prima di noi e a chi verrà dopo di noi........
Mi vergogno profondamente se paragono i sacrifici che hanno fatto le generazioni precedenti e le loro sofferenze, a ciò che vedo oggi. Loro hanno sofferto per noi ed il loro sacrificio è stato distrutto e ...buttato a mare..... Allo stesso modo per le generazioni future nasce l'angoscia al pensiero di quali prospettive hanno!......è necessaria una rinascita da tutti i punti di vista!!!



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marystone



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MessaggioInviato: Sab Giu 15, 2013 21:42    Oggetto: Rispondi citando


...purtroppo ...la classe politica che ci governa...non ci aiuta a credere in un futuro migliore!!!....e...quì sarebbe troppo lungo e complicato fare una dissertazione sui nostri "cari" politici e gli italiani!!!

ciao mari Smile Smile
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mari27



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MessaggioInviato: Sab Giu 15, 2013 21:49    Oggetto: Rispondi citando


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Sì, Mary....... ci sarebbe tanto da dire e ......non è il caso di approfondire!...non qui.
........ma se ciò che ho riportato serve per riflettere un poco......ben venga!!!

Ciao, buona serata! Very Happy



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mari27



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MessaggioInviato: Mar Giu 25, 2013 13:20    Oggetto: Rispondi citando




Sogno di una notte di mezza estate -


Anche se le frontiere cadono, la parola sconfinamento sa di azzardo, di pericoloso, specie se la frontiera in questione non divide le nazioni ma i territori della mente e dell’immaginario.
Esiste la tentazione. Esistono le tentazioni.
Nel misterioso e magico mondo della notte de Sogno di una notte di mezza estate confluiscono le realtà, i personaggi e gli immaginari più diversi: Teseo il duca di Atene, Ippolita la regina delle amazzoni, rozzi artigiani, giovani cortigiani viziati che si cacciano nei guai da soli, strani esseri, fate e folletti capaci di ogni tipo di incantesimo.
A causa del succo del fiore magico che fa innamorare perdutamente, le coppie degli innamorati si dividono esi riuniscono in breve tempo e Titania, la bellissima regina della notte, per volere del suo truculento sovrano Oberon, finirà fra le braccia di un essere dalle fattezze di un somaro.
In questa calda notte d’estate l’ordine più ferreo lascia spazio all’irrazionale più trasgressivo.
Un apparente guazzabuglio. Solo apparente però perché il Sogno di una notte di mezza estate è una delle analisi più scioccanti e lucide della realtà: un meraviglioso gioco teatrale, popolare, lieve e comico, che non deve trarre in inganno.
L’opposizione tra normalità e anormalità è qualcosa di ben più complesso e non si può esaurire sul piano morale.
Il Sogno tratta del confine sottile che separa e congiunge la realtà e il sogno, il quotidiano e il mito, ciò che accettiamo e ciò che neghiamo a causa di certe convenzioni sociali, svelando così tutta la fragilità di questa distinzione.
Questo capolavoro, a distanza di secoli, rimane un’autentica mina vagante posta dal buon vecchio William sotto le poltrone dei nostri comodi salotti.



Renato Sarti




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mari27



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MessaggioInviato: Sab Dic 07, 2013 16:45    Oggetto: Rispondi citando


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In cammino ... sempre...


Pellegrino lunga è la strada che hai scelto per
raggiungere il luogo dove finiscono i sogni
e il vento muore ...








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marystone



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MessaggioInviato: Sab Dic 07, 2013 21:21    Oggetto: Rispondi citando


..per te cara mari....

Smile Smile










Buona serata e auguri........... Smile Smile
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mari27



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MessaggioInviato: Dom Dic 08, 2013 19:03    Oggetto: Rispondi citando


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Grazie, Marystone!
Ricambio di cuore, buone feste
!





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mari27



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MessaggioInviato: Mer Gen 08, 2014 14:29    Oggetto: Rispondi citando


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E' proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura e
non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.


Pablo Neruda




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