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DESK - ORTE (VT) 14 SETTEMBRE 2008 – “OTTAVA DI SANT'EGIDIO”
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genziana



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MessaggioInviato: Gio Set 11, 2008 12:12    Oggetto: DESK - ORTE (VT) 14 SETTEMBRE 2008 – “OTTAVA DI SANT'EGIDIO” Rispondi citando







OTTAVA di Sant'EGIDIO, ORTE (Viterbo)

è ripartita come allora in sette Contrade







CONTRADA S. GREGORIO

Stretta su due lati dalla rupe a strapiombo che circonda il centro storico, la contrada San Gregorio deve il suo nome della chiesa omonima oggi sconsacrata, edificata sulla rupe a fianco della Porta del Vascellaro.

Il piccolo edificio di origine altomedievale, ricostruito alla fine del '400, presenta una facciata rinascimentale semplice ed elegante ed è ornata all'interno da affreschi coevi di ottima scuola, in buona parte nascosti dall'intonaco.

Le attuali dimensioni della contrada sono il frutto dell'annessione della confinante contrada di Capo Castello, destinata soprattutto ad uso militare, avvenuta nella prima metà del '400 in seguito alla distruzione della Rocca da parte del popolo ortano e al progressivo abbandono dell'area che alla metà del secolo XV veniva destinata in buona parte alla lavorazione della lana con due tiratoi.

Dall'altro lato della rocca di Orte veniva controllata in particolare la sottostante via Amerina e il suo attraversamento del Tevere sul ponte, fortificato con due torri, che costituiscono dal medioevo lo stemma cittadino.

Del ponte, crollato nel 1514, sono visibili ancora i ruderi. Il sistema viario adiacente alla Rocca era completato dalla Porta Franca, ancora esistente sotto il Palazzo Alberti, e le due Porte della Rocca sulla lunga salita, crollate ai primi del '900.

Nel secolo XVI sulle rovine dell'edificio centrale della Rocca è stato edificato con linee severe ed eleganti il Palazzo Alberti.

Al limite della contrada si erge sulla rupe l'antico acquedotto - nelle forme attuali del secolo XV - che portava l'acqua alla fontana sotterranea della piazza principale.

Vissero nella contrada illustri cittadini come lo storico Lando Leoncini - secolo XVII - e il famoso giurista Mario Villani - secolo XVII-.

Lo stemma della contrada è della famiglia Manni.
I colori araldici sono il bianco ed il celeste.







CONTRADA PORCINI

La chiesa di San Pietro stava in origine in contrada Capo Castello. Quando nel 1431, la Rocca fu abbattuta, in odio alla tirannia di Antonio Colonna, la chiesa fu ricostruita "ov'oggi si vede".

In un atto del 1458 la contrada venne chiamata, per la prima volta, contrada San Pietro che prima se diceva li Porcini.

Nella chiesa piccola e bassa, il Leoncini fece apporre sulla facciata interna di sinistra la lapide del secolo V, proveniente da San Giovanni in Fonte, con l'iscrizione che ricorda il Vescovo Leone, il terzo della serie dei Vescovi ortani.

Nel 1449 fu concesso di costruire case sugli spazi lasciati liberi nella zona militare che si stendeva sopra la rupe, lungo il versante settentrionale, dalla Marca fino a San Francesco, al di sopra del Borgo San Giacomo.

Risalgono a questa epoca tutte le costruzioni che si affacciano sul Tevere. La contrada, lungo la via contigua comprendeva alcuni palazzi che gli abitanti di un tempo costituivano titolo di orgoglio: la cosiddetta casa di Proba Falconia - la poetessa cristiana del secolo IV - nella piazzetta che si ricorda il nome; il palazzo con l'antica torre - ancora individuabile - in piazza di Troia (oggi piazza Federico Fratini) con il portale d'ingresso in Via Cavour a bugne lisce, sormontato dallo stemma con due leoni rampanti; la casa di Giulio Roscio di fronte alla piazzetta di Montecavallo, con una finestra che si affaccia sullo slargo di via Cavour recante l'iscrizione "virtute duce equite fortuna".

Il Leoncini conclude così la sua descrizione della contrada: "è ornata di molti templi, vescovado, palazzi, piazze, portici, colonne, archi, torri et altre cose nobili".

Lo stemma della contrada è della famiglia Savello.
I colori araldici sono il bianco e il viola.







CONTRADA S. ANGELO

Prendeva nome dall'antichissima chiesa di Sant'Angelo, già attestata nel secolo XII.

Da quando però i frati francescani vi si trasferirono da San Teodoro alla Bastia - 1258 - ed ivi esposero la tavola di San Francesco - 1284 - oggi nel Museo Diocesano, la chiesa cominciò ad essere indicata con il nome di San Francesco, mentre la contrada continuò a conservare il nome di origine.

Era un ampio locale sotterraneo con volte a crociera e arcate di tufo levigato, di straordinaria finezza, cui si scendeva da una porta con leggeri cenni gotici che dava sulla via ora chiusa, a fianco delle mura di destra. Nel secolo XVII fu costruita su di essa l'attuale chiesa di San Francesco.

Due importanti famiglie hanno lasciato nella contrada e nella storia della città orma non cancellabili. La famiglia Manni, il cui nome ricorre spesso negli atti notarili e nei verbali dei consigli comunali. Il loro palazzo si affaccia maestoso sulla piazza di San Francesco. Nell'attuale giardino era la chiesa di San Marciano, a tre navate di cui è rimasto appena il muro di cinta con alcuni resti di antiche colonne.

La famiglia Alberti, proveniente da Firenze, la stessa di Leon Battista, per esercitare un grande commercio di lane e stoffe.

Nella prima metà del '600, periodo del loro massimo splendore, i diversi rami della famiglia costruirono in Orte vari palazzi. Quello in contrada Sant'Angelo si distingue per il maestoso portale e per la stupenda scala a chiocciola attribuita al Vignola.

Lo stemma della contrada e della famiglia Alberti.
I colori araldici sono il nero ed il giallo.







CONTRADA S. GIOVENALE

Prende il nome dal vescovo di Narni assai venerato anche nella nostra città.

Secondo il "Liber Pontificalis Belisario" liberata a fatica la città dai Goti, Orte fece edificare in suo onore una chiesa e un convento. La chiesa fu demolita alla fine del '504 e sull'area rimasta libera fu costruita la chiesa di Sant'Antonio Abate, accanto al Monastero delle Monache Benedettine, oggi trasferito sul colle delle Grazie.

Dalla contrada si usciva nel borgo sottostante attraverso la Porta di Santo Cesareo.

Fa parte della contrada anche il palazzo comunale. Il profferto, per il quale si accedeva all'antica porta d'ingresso dalla piazza, fu demolito nell'800. Sulla facciata fanno ancora bella mostra di sé tre stemmi: quello del comune, sormontato dalle chiavi pontifice, premio per la fedeltà dimostrata nei secoli dalla comunità orfana alla Santa Chiesa Romana; quello di Clemente VII, di casa Medici, venuto ad Orte nel 1528 a ringraziare la città per la fedeltà dimostrata al passaggio dei Lanzichenecchi; quello di Paolo III Farnese che era venuto ad Orte per ben due volte nel 1535 e nel 1541, ospite dei frati di San Bernardino.

Della contrada San Giovenale sono inoltre da ricordare l'abitazione del poeta tragico Antonio Deci in via del Plebiscito; la casa con torre, all'inizio di via Duca di Genova, di Ulisse Roscio; il Palazzo Roberteschi. A quest'ultima nobile famiglia orfana apparteneva il Vescovo Nicola, che nel 1352 fu suffraganeo del Cardinale Albornoz in Sabina e suo commissario, con l'incarico di operare con risolutezza nei confronti dei Prefetti di Vico. Suo fratello Roberto, uomo d'armi, costruì il palazzo, sul quale un discendente, Geronimo, tra il '400 e il '500 lasciò il proprio nome.

La famiglia si estinse nel secolo XVII, il palazzo oggi splendidamente restaurato, è sede dell'Ente Ottava Medievale.

Lo stemma della contrada è della famiglia Roberteschi.
I colori araldici sono il rosso ed il nero.







CONTRADA OLIVOLA

Il nome della contrada deriva, secondo il Leoncini, "da un ulivo che era in mezzo alla piazza".

Fin dal secolo XII, all'intorno della piazza, sorgeva la chiesa di Santa Croce, sede dell'antichissima confraternita dei Disciplinati, l'oratorio di Sant'Egidio e il palazzo del Comune che però nel 1295 si trasferì nella piazza di Santa Maria.

Nel 1303, per iniziativa di frate Giacomo da Orte, generale dell'Ordine, gli Agostiniani dal convento fuori le mura sì trasferirono nel palazzo lasciato libero dal Comune, a patto però che sulla torretta d'ingresso - trasformata in campanile - venisse conservato lo stemma della città.

Nell'area libera tra l'oratorio di Sant'Egidio e il palazzo trasformato in convento, fu costruita l'attuale chiesa di Sant'Agostino già attestata in un atto notarile del 1335. solo intorno al 1450 la contrada viene ufficialmente indicata come contrada di Sant'Agostino. Essa si qualificava, rispetto alle altre, per la presenza rilevante di opere sociali: il Monte di Pietà, costruito nel 1478; l'ospedale di Santa Croce, già in funzione nel 1290; l'ospedale dei pellegrini, addossato all'antica chiesa della Trinità e l'ospedale dei convalescenti nel palazzo con l'elegante loggia accanto alla chiesa.

Nella chiesa di Sant'Agostino-Santa Croce, notevoli il quattrocentesco crocefisso in legno di autore ignoto e la tavola della Madonna del Rosario di Giorgio da Orte - seconda metà del secolo XVI-.

Lo stemma della contrada è della famiglia Roscio.
I colori araldici sono il celeste ed il rosa
.






CONTRADA SAN BIAGIO

La contrada San Biagio presenta le caratteristiche del quartiere medievale con le sue stradine strette ed in pendio, le case ricoperte quasi ovunque di una patina di antichità e sostenute da archi ed archetti.

L'antichità della chiesa di San Biagio è attestata dall'iscrizione ancora ben leggibile della campana maggiore, firmata da Lotterio Pisano e datata nel 1253. nel 1352 la chiesa e le case circostanti vennero affidate in commenda all'ordine ospedaliero di Santo Spirito in Saxia che vi impiantò una precettoria per addestrare i giovani alle funzioni ospedaliere; nel 1613 l'ospedale chiuse la precettoria ed affidò la chiesa con i suoi beni alla Congregazione dell'Annunziata con la condizione di porre sulla porta d'ingresso la doppia croce di Lorena.

Nel 1754 a seguito di un terribile incendio la chiesa romanica fu quasi completamente distrutta e ricostruita nelle attuali forme classicheggianti

Appartiene alla contrada San Biagio la chiesa di San Silvestro oggi sede del Museo Diocesano, risale al 1141 al tempo di Innocenzo 11. Le strutture originarie snaturate nel secolo XVI, sono state riportate attualmente all'antico splendore, fatta eccezione per il porticato, dell'arco del quale è stata ricavata la piazzetta antistante, con la colonna tratta dall'antica cattedrale romanica, fattavi innalzare nel 1718, a spese del Cardinale Nuzzi.

Appartenevano alla contrada alcune famiglie facoltose che hanno lasciato importanti palazzi: i Nerei-Roberti in piazza Santa Maria sopra gli antichi portici, i Sordolini, il cui palazzo - 1517 - si affaccia ad angolo sulla piazza , gli Sparta in piazza d'Erbe, i Cardarelli, mercanti di lana, in piazza Colonna nella cui casa il 29 giugno 1476 fu ospitato il Papa Sisto IV.

I colori araldici della contrada sono il verde e il ciclamino
Lo stemma è quello dei Sordolini.







CONTRADA S. SEBASTIANO

La contrada San Sebastiano traeva il suo nome dalla piccola chiesa al centro della piazza Belvedere, detta anche Poggio, ora trasformata in abitazione, costruita nel 1362.

Sulla piazza si affacciava il monastero femminile di San Giorgio, le monache vi si trasferirono nel 1233 dopo una breve permanenza nel Borgo di San Giacomo e, prima ancora, nel castello di San Liberato, che aveva acquistato dall'abate Bono di Castel Sant'Elia nel 1226. il monastero, che ebbe un gran peso nelle vicende sociali, economiche e spirituali della nostra città, fu soppresso nel 1518 e i suoi beni furono assegnati ai frati. Il vasto caseggiato che si affacciava sul poggio, ormai disabitato, fu lottizzato e venduto a privati.

Le restrizioni messe in vigore nel 1240 per non turbare la vita delle monache, vennero abolite; fu così aperta la porta che chiudeva l'accesso alla piazza, e con un muraglione di cinta innalzato sull'orto pensile, sopra la rupe, fu formata la via che mette in comunicazione piazza Pietralata con la piazza di San Sebastiano.

A fianco della chiesa di San Sebastiano abitava messer Evangelista di Pietro laco Franceschini che nel 1407 essendo passato dalla porta dei fuoriusciti, fu bollato come traditore ed espulso dalla città. La sua casa, con portico e colonne, oggi riportata all'antico splendore, fu chiamata da allora la casa di Giuda.

A seguito di un lascito della sorelle Roberteschi, che morirono senza eredi, dal 1628 al 1641 furono costruiti poco oltre la piazza, la chiesa e il monastero di Santa Maria di Loreto. Subito dopo l'occupazione napoleonica vi fu trasferito l'ospedale di Santa Croce il quale con la successiva concentrazione degli ospedali cittadini formò gli attuali Ospedali Uniti di Orte. Oggi chiusi per uno scellerato provvedimento.

Da ricordare inoltre all'inizio di via Gramsci, il palazzo di Santa Maria, che serviva all'origine da alloggio per i canonici, dal 1322 è attestato come residenza del Podestà e poi dei Priori.

I colori araldici sono il bianco e nero.
Lo stemma è quello dei Caccia.




Dal sito delle CONFRATERNITE di HORTAE : www.hortae.it


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L'ultima modifica di genziana il Dom Set 14, 2008 13:47, modificato 1 volta
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paolat



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MessaggioInviato: Gio Set 11, 2008 13:25    Oggetto: Rispondi citando


Che bello ... un desk dopo l'altro!!

Cara Marina , a te ed alle volontarie presenti in questa bella cittadina, un grandissimo in bocca al lupo per un meritato successo!

Buon lavoro

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silvana



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MessaggioInviato: Gio Set 11, 2008 14:11    Oggetto: Rispondi citando


....un we davvero ricco di tanto amore e tanti impegni........

Cara Marina

buon lavoro, tanti sorrisi ai nostri bimbi............. un fortissimo abbraccio.

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ellebi



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MessaggioInviato: Gio Set 11, 2008 15:22    Oggetto: Rispondi citando


....Soldato Loretta........PRESENTE!!!! Laughing Laughing Laughing Laughing Laughing

Come mancare in una occasione così bella e caratteristica come quella del palio di Orte, con persone affettuose ed accoglienti?????

Allora chi viene a trovarci?????
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Stefy72



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MessaggioInviato: Gio Set 11, 2008 16:46    Oggetto: Rispondi citando





IN BOCCA AL LUPO !!!!!


Wink Wink Wink Wink Wink Wink
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cianipat



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MessaggioInviato: Gio Set 11, 2008 17:20    Oggetto: Rispondi citando




Un forte abbraccio!
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Lele



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MessaggioInviato: Gio Set 11, 2008 20:34    Oggetto: Rispondi citando


Che sia un successone!In bocca al lupo!!Per buttare giù altri muri!
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genziana



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MessaggioInviato: Ven Set 12, 2008 13:11    Oggetto: DESK - ORTE (VT) 14 SETTEMBRE 2008 – “OTTAVA DI SANT'EGIDIO” Rispondi citando



OTTAVA di Sant'EGIDIO, ORTE (Viterbo)

Il Santo Patrono e la Festa in suo onore




Con la processione del 31 agosto (che si conclude con la benedizione dei gonfaloni delle 7 contrade) e con la Santa Messa del primo settembre, concelebrata in cattedrale e presieduta dal Vescovo della diocesi, iniziano le celebrazioni in onore di Sant'Egidio, patrono della città di Orte, celebrazioni che continueranno fino alla II° domenica di settembre, con rievocazioni storiche, gare sportive, momenti culturali e folkloristici.

Continua così e si rinnova, una tradizione ortana che ha radici molto profonde, e trova la sua origine nel medio evo
.

Scrive il Leoncini, che per Sant'Egidio si celebra "la più solenne festività che si faccia in Orte" e questo "per essere Egli avvocato, cioè protettore e difensore davanti a Dio di detta comunità".

In Orte la festa di Sant'Egidio si celebrava assai prima che il Santo venisse proclamato patrono della città. E la devozione per Lui doveva essere davvero grande e viva, se Bonifacio IX nel 1396 aveva concesso a coloro che Lo visitavano il giorno della festa e levavano verso di Lui le mani imploranti, la stessa indulgenza plenaria che si poteva lucrare ad Assisi nella chiesa della Porziuncola. L'indulgenza fu in vigore fino alla riforma del concilio di Trento, cioè fino al 1536. Riferisce il Leoncini, per averlo appreso dagli anziani, che l'afflusso della gente davanti alla statua del Santo, era, in quel giorno, continuo, e andava da un vespro all'altro, e la chiesa rimaneva aperta "fino a 3 ore di notte", cioè fino alle 21.00, anche per le donne, fatto questo, in quei tempi, piuttosto insolito.

La processione con cui la festa si apriva era considerata atto pubblico, cui la comunità partecipava in forma ufficiale, con la sua magistratura al completo: Potestà, Priori, Consiglio Generale e tutte le componenti sociali. Il capitolo 72 del libro quarto degli statuti, ne fissava le norme.

Essa doveva svolgersi di giorno e non di notte, alla vigilia della festa nel tempo in cui gli ufficiali del Potestà avrebbero provveduto a radunare le 16 corporazioni cittadine, i componenti delle quali, ognuna con il proprio rettore o console, doveva presentarsi all'ufficiale delegato del Potestà con in mano una candela accesa, disporsi e sfilare due a due davanti all'immagine del Santo secondo un ordine di precedenza ben preciso.

La festa era, inoltre, solennizzata da una fiera che durava otto giorni, due prima e cinque dopo il primo settembre, nel corso della quale i mercanti godevano l'esenzione dalle "gabelle". fino al 1513, anno in cui crollò il ponte sul Tevere, si bandiva fino a Perugia, Foligno, Terni, Norcia e molte altre città dell'Italia settentrionale. Era chiamata "Fiera dei Campanelli", perchè, ci dice sempre il Leoncini, quelli che vi partecipavano usavano comprare e portar via, per ricordo, dei campanelli di coccio, onde sorse anche il nome di Sant'Egidio dei campanelli.

La fiera era un avvenimento talmente importante per Orte che impegnava subito appena eletto il Potestà e il Consiglio Generale a provvedere al suo svolgimento entro due mesi dalla loro elezione. Il primo ottobre di ogni anno poi dovevano essere sorteggiati due cittadini e un notaio con l'incarico di soprintendere alla sua organizzazione. La fiera era distinta in due sezioni: la fiera del bestiame e la fiera delle merci.

Gli statuti stabilivano che la fiera del bestiame doveva svolgersi al di là del ponte del Tevere, sulla strada per Amelia, in zona di volta in volta indicata dai Priori, e si concludeva con una corsa di cavalli che partiva da Petignano e arrivava sulla Piazza di Santa Maria. La fiera commerciale, invece, si svolgeva entro la città, "ora per una strada, ora per un'altra" dice il Leoncini, "et ogni persona era obbligata dare la sua bottega gratis a li mercanti, et io l'ho vista bellissima ancora a suo tempo".

Dopo il 1602, la festa del patrono fu rallegrata anche dalla ripresa dei "ludi tiberini", cioè dalla corsa di barche, sul Tevere, di origine anch'essa assai antica. Il Leoncini riporta in proposito, nei suoi testi, una splendida pagina in latino "che si leggeva" egli dice, "ne li frammenti". Da un'affrettata lettura di essi, si ricava l'impressione di una comunità che considerava le attività sportive come un mezzo particolarmente efficace per preparare la gioventù all'emulazione, al coraggio, all'armonico sviluppo fisico, spirituale e sociale.Per questo non si tralasciava di organizzare gare in cui la qualità dei singoli o di gruppi avevano modo di manifestarsi davanti a tutti i cittadini.

In questa luce, i ludi tiberini si collocavano, sulla scia del torneo dell'anello d'argento obbligatorio per statuto, accanto alle corse di cavalli. E voleva essere un modo di dir grazie al Santo invocato, anche perché raffrenasse le inondanti acque del Tevere, da parte di tanti cittadini che con il lavoro dei campi provvedevano al cibo per tutti e con il lavoro delle barche facevano buoni guadagni. Gli abitanti del borgo chiamavano queste corse di barche anche col nome di "le calate", perché la folla degli ortani scendeva sulle rive del fiume lungo il percorso della gara. Ciascuna barca, ornata di fiori e verdura, era condotta da quattro giovani. Il premio consisteva in una coppa, in un paio di guanti o in un panno di seta.

Dal testo del Leoncini è possibile arguire che nelle gara erano impegnate le contrade, giacchè al passaggio sotto le arcate dell'antico ponte sul parapetto o lungo le sponde, uomini, donne e ragazzi incitavano a gran voce e spesso con trombe e tamburi "quisque suos", cioè, ognuno i propri colori, mentre i rematori si sfottevano a vicenda e si schizzavano acqua in faccia. "Facevano cornice alla corsa delle barche", dice il Leoncini, "suoni e musiche et donne, et si ballava poi sotto ad alma, amena et opaca ombra. E quivi si facevano buoni pasti et si aspergevano d'acqua et così si stava alegramente". Lo storico ortano si rammaricava che queste calate, verso la fine del secolo fossero scomparse, e attribuiva la colpa alla "insterilità degli animi et anco alla malattia degli uomini", cioè a indolenza e a fiacchezza morale.

Salutò perciò con soddisfazione l'iniziativa della compagnia di San Rocco, cioè della corporazione dei muratori, che nel 1602 aveva ripreso le costumanze con la festa di Sant'Egidio "e con molta vaghezza della città". E in quell'anno presero parte alla gara dieci barche.

L'altare di Sant'Egidio si trovava nella navata di centro della chiesa di Sant'Agostino. Quello che si trova ora ora nella forma attuale, opera di Francesco Veramici (1735), sostituì quello costruito nel 1594 con spese di molte centinaia di scudi. Fu allora, che gli sportelli della nicchia, entro la quale era venerata la statua del Santo, furono tolti e collocati in un angolo della sacrestia di Santa Croce, e sarebbero andati perduti se un antiquario non ci avesse messo gli occhi sopra e non avesse insistito troppo per comprarli, e portarli via. Oggi, quegli sportelli costituiscono nel museo diocesano uno dei documenti più preziosi dell'arte sacra locale.

Il carattere popolaresco delle pitture, con la natura rappresentata in forme che si direbbero surrealiste, risente chiaramente degli influssi del primo rinascimento. La vita di Sant'Egidio vi è rappresentata in diverse fasi, dalla fanciullezza, alla morte, in dodici piccole storie, illustrata con iscrizioni in lingua volgare. L'impianto segue la narrazione della prima vita del Santo scritta oltre mille anni fa, volta a ricordare più che i dati precisi di cronologia, i fatti prodigiosi operati da Dio per Sua intercessione.






Sant'Egidio nacque in Grecia, ad Atene nel VI secolo da Teodoro e Pelagia, di nobilissima famiglia. Le prime due tavole rappresentano il dispetto dei diavoli che rapiscono dalla culla il bambino destinato a grandi cose, e lo trasportano, e lo abbandonano in un bosco dove una cerva provvede ad allattarlo. Riportato a casa fu educato secondo le esigenze del suo rango, alle arti liberali, e divenne ben presto uomo coltissimo, ottimo oratore ed eccellente poeta. Fu esperto nelle materie scientifiche, e si attribuiscono a Lui opere di medicina in latino "de pulsis", sui battiti del cuore, in versi, e "de venis", uno studio sulle vene del corpo umano. Ma egli si distinse particolarmente nello studio delle Sacre Scritture, cui lo spingeva uno spiccato spirito di pietà e il desiderio di conoscere la volontà di Dio.

Rimasto solo dopo la morte dei genitori, seguì l'invito del Vangelo, vendette il patrimonio ereditato e distribuì il ricavato ai poveri. Iddio lo glorificò concedendogli il dono dei miracoli. Un giorno incontrò un malato che gli chiese l'elemosina. Si tolse il mantello, e con esso ricoprì il povero, che istantaneamente guarì. Un'altra volta liberò un indemoniato.

Poichè la fama di queste opere aveva reso celebre il Suo nome, per fuggire il pericolo della vana gloria, decise di allontanarsi dalla patria. Si mise in viaggio su una nave e approdò a Marsiglia, in Provenza dove visse prima con San Cesareo, Vescovo di Arles e poi, nella solitudine, accanto all'eremita Veredemio.






Ma poichè la fama dei miracoli lo seguiva anche lì, dove aveva guarito una donna per tre anni affetta dalla lebbra, si ritirò ancor più all'interno del bosco, in una caverna difficilmente accessibile, dove viveva nella contemplazione di Dio, pregando e meditando, cibandosi di erbe selvatiche e del latte di una cerva che prodigiosamente ogni mattina si avvicinava a Lui per offrirgli il dolce alimento. Il Signore volle però che il Suo servo, pur nel folto del bosco, venisse glorificato e la Sua santità risplendesse di fronte agli occhi degli uomini. Alcuni arceri della caccia reale inseguivano la cerva, la quale cercò protezione ai piedi del Santo. I cani si arrestarono, ma un cacciatore scagliò la freccia che andò a colpire Sant'Egidio in un braccio. Non si lamentò nè volle essere da loro soccorso, disse soltanto che voleva soffrire il dolore della ferita per partecipare in qualche modo al dolore che nella Passione, le ferite avevano procurato a Cristo. Il fatto fu riferito al re che volle conoscerlo di persona, e l'incontro non fu senza conseguenze. Sant'Egidio svelò al re un suo peccato occulto e ottenne da Dio la forza di confessarlo. Per questo il re lo pregò di permettergli di dimostrare a Lui la propria riconoscenza, e il Santo gli chiese che nel luogo della spelonca venisse costruito un monastero, per accogliere quanti desideravano seguirlo nella vita di preghiera. Il monastero in poco tempo fu pronto e Sant'Egidio fu ordinato sacerdote e i monaci accorsi vollero che divenisse loro Abate, adottando la regola benedettina.






Negli ultimi anni di vita, dopo aver ricostruito due volte il monastero distrutto dalle incursioni dei saraceni, volle venire a Roma a visitare le tombe degli Apostoli. Morì il primo settembre alla fine del secolo VI. Ben presto cominciarono i pellegrinaggi al Suo sepolcro e altari e chiese sorsero in Francia e in Italia in Suo nome. In Italia si contano oltre cinquanta parrocchie a Lui intitolate. Fu venerato come uno dei quattordici Santi ausiliatori, di quelli cioè che vengono invocati in particolari difficili circostanze per determinati mali e per ottenere e conservare la pace.

Sant'Egidio è invocato per fare una buona confessione e per la guarigione dalla febbre delirante, dal panico, dalla follia e dal malcaduto. Le Sue reliquie furono richieste da molte parti, ma la principale porzione dei Suoi resti mortali è conservata nella chiesa di San Germain, a Tolosa.

I Suoi prodigi sono illustrati tra l'altro in due vetrate e in una scultura del portale della cattedrale di Chartres, nel sepolcro di Carlo Magno a Aachen (Aix le Chappelle), e in alcuni quadri diffusi in chiese e musei.

Il polittico, conservato nel museo diocesano di Orte è uno dei più importanti. In Italia il culto di Sant'Egidio è molto diffuso; per rimanere nel Lazio, a Roma vi sono due chiese a Lui consacrate e un'altra a Viterbo. Le città di Palombara Sabina, La Tolfa, Caprarola e Orte, lo hanno come protettore principale. Ad Orte la devozione del Santo viene introdotta, secondo un'antica tradizione, al tempo di Papa Urbano IV, forse dalle truppe francesi di Carlo D'Angiò che si recavano a Napoli a combattere contro re Manfredi.

Anche se negli statuti della città Sant'Egidio appare solamente nel corso del secolo XVI la devozione del popolo per Lui doveva essere antica e profonda, se la Confraternita di Santa Croce fece elevare in Suo onore una chiesa addossata al proprio oratorio e fece dipingere la storia della Sua vita in dodici riquadri nelle quattro tavole di cui parlavamo.

La statua del Santo, custodita nell'altare eretto in Suo onore fino al 1952, aveva questa singolare costumanza, che rimaneva abitualmente occultata alla venerazione dei fedeli e si scopriva su richiesta di delegazioni di contadini quando si voleva implorare la Sua intercessione per ottenere al tempo opportuno, la pioggia o i raggi del sole.






Quando Sant'Egidio fu proclamato patrono principale di Orte?

Per dare una risposta dobbiamo tenere presente una premessa.

Studi recenti (vedi in proposito l'opera di Paola Santucci "La pittura del Quattrocento " ed. UTET, Torino, 1992) hanno dimostrato che per una più appropriata lettura dei fenomeni artistici del primo rinascimento non basta tener conto delle singole opere prodotte dai grandi autori nelle grandi città; anche quelle che personalità di minor rilievo produssero nei piccoli centri, configurati allora come città - stato, mettono il luce, con un loro specifico linguaggio, un comune stato d'animo che, in particolari situazioni, poteva essere di tristezza, di trepidazione o di gioia.

Insomma, la tesi di un rinascimento univoco, generato ovunque da un'unica sorgente creativa e da una medesima luce culturale e spirituale, non sembra più sufficiente a leggere, e a "intus legere", un'opera d'arte. Per poterla comprendere in tutti i suoi contenuti e in tutti i suoi aspetti, occorre perciò collocarla nell'ambito della comunità che l'ha promossa, della quale rispecchia la vita spirituale, sociale e politica in un particolare momento della sua storia. Insomma "tante furono le città, tante le loro distinte produzioni culturali".

Alla luce di questa premessa, alcune indicazioni tratte dal Leoncini e dalle "Riformanze" del sec. XV, e da una rilettura di alcune tavole conservate nel nostro museo diocesano, ci offrono la chiave per individuare, in qualche modo, la data che noi stiamo ricercando.

Racconta il Leoncini (vol. II p. II, f. 348) che un suo zio materno, Marco Ponte, il quale era stato per oltre trenta anni cancelliere della comunità, e aveva avuto modo "di leggere più volte tutte le carte" in essa conservate, gli aveva detto un giorno che la fiera dei campanelli, istituita originariamente per solennizzare l'anniversario della consacrazione dell'antica cattedrale, era stata trasferita alla festa di Sant'Egidio, "quando lo aveva preso per advocato".

A quel tempo, ricorda lo storico ortano con rammarico, egli non pensava, di scrivere le vicende della città e quindi non si era curato di chiedergli quale era stato l'anno preciso. Da una copia in suo possesso degli antichi statuti "tradotti da sere Dinadoro Astorelli da Todi nell'anno 1200 in circa" e sulla base delle riformanze comunali, egli ricostruisce però l'elenco documentato di tutti i Santi protettori invocati via via dalla città di Orte, in momenti di eccezionale gravità.

Nel cap. 90 di quel primo statuto, egli trovò che fin dal 1136, accanto alla Vergine Maria Assunta in cielo, gli ortani avevano scelto come protettori i Santi Ambrogio e Pancrazio, ai quali nell'antica cattedrale avevano dedicato un altare. Quel patrocinio era durato oltre due secoli e mezzo.

Il 7 luglio 1450, mentre in città e nei centri confinava una terribile peste, su proposta di Angelo di Roberto (uno dei protagonisti della storia civile ortana di quel tempo) il consiglio comunale ritenne opportuno invocare la particolare protezione di Sant'Antonio da Padova "per li molti et infiniti miracoli che esso faceva", e dispose "di ordinare un cero in onore del Santo, come è consuetudine, da accendere nelle chiese della città" (Riformanze del Comune di Orte 1449 - 1458 Ed. Ente Ottava Medievale di Orte pag. 103).

Sette anni più tardi, a seguito di una tristezza giornata di passione politica e di sangue fraterno, che l'orgoglio di parte aveva, però, subito trasformato in una giornata di amaro trionfo, fu presa una nuova decisione. Il 5 giugno 1457, in una località che nè le Riformanze nè il Leoncini precisano, le milizie cittadine avevano messo in fuga i fuoriusciti rinforzati dalle bande di Everso dell'Anguillara. Nella seduta del 3 luglio, quando la tensione interna si era un pò allentata ma l'orgoglio di parte si era ancor più accentuato, la comunità, per tener fede al principio che "tutti quelli che hanno ricevuto benefici da Dio, hanno il dovere di ringraziarLo" propose che si facesse una grandiosa processione di ringraziamento, "si desse da mangiare a tutti i cittadini" e si proclamasse protettore della città San Vittorino, per intercessione del quale, proprio nel giorno in cui si celebrava la festa, gli ortani avevano ottenuto la vittoria.

Purtroppo, però, nonostante la processione, i banchetti e la proclamazione del nuovo patrono, dal nome certamente augurale ma anche piuttosto provocatorio, quella vittoria non era stata risolutiva, e le tribolazioni e i contrasti interni, bloccati per un momento, ripresero a farsi sentire più aspri e dolorosi che mai.

Dopo il 1470 non ci fu più pace, nè all'interno della città, nè con le comunità confinanti, ree di aver dato ricetto a gruppi di fuoriusciti. Fu proprio in queste tristi circostanze che la preghiera dei cittadini più umili, di quelli soprattutto raccolti nelle Confraternite, si levò a Dio, per l'intercessione della Madonna e di Sant'Egidio, il Santo "ausiliatore" al quale gli ortani si erano sempre rivolti con fiducia.

Tre singolari documenti, che fanno parte del patrimonio storico e artistico della comunità ortana, gelosamente conservati nel museo diocesano, ce ne danno conferma: una "Madonna con bambino e devoto" di autore anonimo, le "Tavole di Sant'Egidio", che Luisa Mortari attribuisce a un pittore della scuola di Lorenzo da Viterbo e Italo Faldi al cosidetto maestro di Chia, e, infine, la "Madonna dei Raccomandati", già attribuita, pur con qualche riserva, da Federico Zevi a Francesco D'Avanzarano, ricondotta oggi da Fabiano Buchicchio, sulla scorta di inoppugnabili documenti notarili finora inediti, al pittore Cola, nativo di Roma, ma fin dal 1475 "abitatore di Orte" e quindi indicato dal notaio come "Mastro Cola pittore da Orte e cittadino ortano".

Il primo reca significativamente, in bella evidenza, la data del 1484; il secondo è stato assegnato a una data che non va oltre il 1490: il terzo iniziato nel 1500 fu terminato, dopo la morte di Cola, per incarico del figlio Egidio, dal pittore Giovanni Antonio da Roma nel 1501.

La "Madonna con bambino e devoto" è rappresentata in un atteggiamento non certo usuale nella pittura quattrocentesca, ben diversa da altre immagini dello stesso periodo. Ella non mostra, ma stringe al seno, quasi a volerlo difendere, il bambino che a sua volta abbraccia la madre e le accarezza il volto, quasi a volerla confortare, e ambedue fissano intenti il visitatore, con gli occhi velati da profonda tristezza. Il devoto, collocato in un angolo, contempla i due con il volto tirato e le mani giunte. Forse la data segnata in basso con tanta evidenza ci permette di comprendere la ragione della mestizia che pervade le tre figure.

Negli ultimi mesi del 1484, dopo una breve pausa di quasi tranquillità, erano riprese le risse, non solo all'interno della città ma anche con i paesi confinanti, ognuno schierato chi per l'una chi per l'altra parte delle due potenti famiglie Orsini e Colonna, in lotta perpetua tra di loro. E proprio nel 1484, nella macchia della Madonna, così chiamata perchè apparteneva alla Confraternita della Madonna dei Raccomandati, in contrada Baucca, dai Gallesani, cui si erano uniti alcuni fuoriusciti al servizio degli Orsini, erano stati ammazzati otto giovani ortani. Quello che era stato versato era, dunque, sangue fraterno, e noi siamo convinti, e crediamo di non essere lontani dal vero, che quella "Madonna col volto triste" sia stata commessa all'anonimo pittore dal padre di qualcuno di quegli otto giovani, quasi a implorare il dono della pace della Madonna e dal bambino che, appunto, non senza un significato, rivolgono gli occhi mesti al visitatore, quasi a invitarlo a farsi anche lui promotore di pace.

Da quell'anno, però, le tribolazioni interne e le incursioni esterne, si erano fatte ogni giorno più frequenti e spietate, e toccarono il culmine della ferocia il 13 febbraio 1489, quando sulle strade di Orte si contarono oltre cinquanta morti e un numero imprecisato di feriti. Ora, se accogliamo le tesi del Faldi che le tavole di Sant'Egidio non vanno collocate oltre l'ottavo decennio del secolo, crediamo di non essere lontani dal vero se riteniamo che esse siano state commesse al Maestro di Chia nel momento più carico di dolore che la comunità cittadina abbia mai esperimentato. I confratelli rappresentati nell'ultimo riquadro di destra, ginocchioni, in atteggiamento devoto e implorante, attendono la grazia della pace, con i flagelli della penitenza tra le mani giunte, per l'intercessione della Vergine Annunziata e di Sant'Egidio, invocato nella sua particolare qualità di Santo "ausiliatore", perchè venga in aiuto della comunità nel momento più tragico della sua vita cittadina.

Dopo quella terribile esplosione di odio e di morte, un senso di stanchezza e un bisogno di pace cominciò a diffondersi nell'animo dei cittadini più provati e pensosi. Certo, i rancori non si spensero all'improvviso; nel decennio che seguì ci furono ancora giornate di dolore, ma intanto, poco a poco, sull'orgoglio e le ripicche cominciarono a prevalere le ragioni della pace.

E quanto più s'avvicinava l'inizio del nuovo secolo tanto più cresceva il bisogno di una convivenza più umana e fraterna, giacchè ognuno voleva approfittare dell'anno Santo per ridare alla vita un nuovo significato.

Ad assecondare questa opera di rappacificazione generale, ebbe gran parte Alessandro VI, un Papa per altri aspetti non certo commendevole. Nell'ottobre del 1498 inviò ad Orte come suo commissario il Vescovo di Vasto, con la facoltà di riallacciare i rapporti di pace con le diverse comunità. Questi cominciò dapprima con gli amerini, con i quali i rancori erano più radicati e, dopo qualche iniziale difficoltà, riuscì ad avviare le cose sulla strada giusta, con una iniziativa geniale: fece eleggere come delegati per le trattative "4 cittadini con altri parenti di alcuni ortani tenuti prigionieri ad Amelia" e questi riuscirono a sbloccare la situazione. Il 9 giugno fu conclusa la pace; il 25 giugno la comunità restituì i beni ai fuoriusciti e gli amerini rimandarono a casa i prigionieri. Altre trattative avviate con Viterbo, Vitorchiano e Vignanello, si conclusero nel febbraio del 1499.

"Restava alla Comunità et Ortani", conclude il Leoncini, "fare le paci tra essi et i fuoriusciti coi quali si trattò e si trattava tuttavia, et perchè si approsimava l'anno Santo del 1500 la comunità voleva essa pure purificarsi" (vol.I - p.I f.563).

In questo clima di riconciliazione e di rinnovata fiducia anche le opere della pace, e da allora, fatta eccezione per la giornata del 6 luglio 1902, la città non conobbe più al suo interno discordie sanguinose. Fu allora che la Confraternita dei Raccomandati affidò a Mastro Cola l'incarico di dipingere la tavola della Madonna, sotto il cui manto, tenuto aperto dalle sue braccia accoglienti, trovano rifugio e sicurezza tutte le categorie sociali, con il Papa e il Vescovo, cittadini e cittadine che con il volto sereno e l'animo disteso tendono lo sguardo verso di Lei.

Fu certamente questo il tempo in cui anche la devozione a Sant'Egidio toccò il momento di maggiore intensità, e la città sentì il dovere di proclamarlo suo patrono, affidando a Lui la conservazione della pace, e la perpetua protezione della città e della sua campagna.

Il Leoncini non dice la data in cui questa scelta avvenne, ma nelle sue carte c'è una indicazione che non lascia alcun dubbio. Nel vol. III della sua Fabrica Ortana al foglio 262, dopo aver riassunto tutta la serie delle paci realizzate nel 1499, annota alla fine: "La comunità dona una torcia di 4 libre alla festività di Sant'Egidio. Cancelliere ser Io. Battista de Monte Santo".

Poichè nel libro delle "Riformanze" del 1449 - 57 la stessa formula viene usata quando furono proclamati patroni Sant'Antonio da Padova e San Vittorino, noi abbiamo ragione di credere che fu proprio il 1501 l'anno in cui Sant'Egidio fu proclamato per sempre patrono di Orte, e nel cap. 72 degli Statuti, pur conservando la titolazione originaria, fu aggiunta la disposizione che la processione di Sant'Egidio si doveva svolgere nel medesimo ordine e modo di quella dell'Assunta.

La festa di Sant'Egidio, ad Orte, cominciava alle ore 11 del 31 agosto, quando, accompagnata dal capitolo e dalla folla dei devoti, la statua veniva esposta fino al mattino del 2 settembre, giorno in cui il Vescovo amministrava la Cresima ai giovani fanciulli ortani.

Per un'altra singolare costumanza, forse nella convinzione di rendere più misterioso e solenne il culto, il Santo veniva portato in processione per le vie di Orte, solo ogni cinque anni. Nel 1952 il Vescovo Massimiliani ordinò giustamente che il Santo venisse trasferito nella chiesa cattedrale, su un altare proveniente dall'antica chiesa della Trinità, che rimanesse esposto continuamente alla venerazione dei fedeli e che la processione per le vie della città si facesse ogni anno.

Queste, le linee essenziali della presenza di Sant'Egidio nella vita e nella storia della comunità di Orte.

Gli ortani del nostro tempo hanno il dovere di conservare questa presenza, esprimendo la riconoscenza con manifestazioni conformi alla mentalità e alla spiritualità del nostro tempo, così come fecero gli ortani di una volta. Si tratta in fondo di un richiamo a vivere sulle linee delle nostre tradizioni, che non sono già fuga o rifugio nel passato, ma strada per il futuro, cioè espressione di una cultura, di un modo di essere della comunità che nel corso dei secoli si è continuamente rinnovata, senza però mai abbandonare quei tratti essenziali che costituiscono i caratteri fondamentali della personalità degli ortani.

Al fondo di tutto sta l'insegnamento che Sant'Egidio continua a darci, presentandosi ancora oggi come modello di vita. Dice un'antifona che si cantava nei vespri "Il Signore affidò a questo Santo la missione di rendere a Lui testimonianza con la vita: con tutto il cuore Egli lodò il Signore e amò il Suo Creatore". Quella di Sant'Egidio è stata davvero una testimonianza che è ancora attuale, per noi che viviamo in tempi in cui sembra che l'uomo valga solo per quello che possiede. Con il suo distacco dalla ricchezza Egli ci ha insegnato che l'uomo vale per quello che è e non per quello che ha.

Il Suo vivere in solitudine ci insegna che in nessun momento l'uomo può separarsi da se stesso o dimenticare se stesso, e che può ritrovare veramente se stesso se non vive in una distrazione che lo stordisce e gli fa dimenticare i doveri della vita nei confronti di se stesso, della famiglia e della società.

Il mondo attuale è impegnato in una lotta senza sosta tra il bene e il male, e questa lotta si manifesta anche nel cuore dell'uomo. Sant'Egidio con la Sua testimonianza ci insegna che in questo campo non bisogna avere dubbi o incertezze, e ci aiuta ad essere sicuri in questa scelta.




Testo tratto dal sito delle Confraternite di HORTAE http://www.hortae.it

Immagini tratte dal sito http://www.santiebeati.it/Detailed/68500.html

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MessaggioInviato: Dom Set 14, 2008 01:49    Oggetto: DESK - ORTE (VT) 14 SETTEMBRE 2008 – “OTTAVA DI SANT'EGIDIO” Rispondi citando



ORTE - PORTA DEL VASCELLARO - Contrada San Gregorio

qui oggi è allestito da mattino a sera IL DESK ADRICESTA!







La Contrada di San Gregorio fu certamente una di quelle che si formarono più in ritardo e con maggiore lentezza. Si trattava infatti della zona immediatamente a contatto con la fortezza militare e, quindi, prima del 1431, era priva di abitazioni e di famiglie. Solo dopo il 1430, quando la comunità favorì in quegli spazi la costruzione di case, nella parte della contrada già Capo Castello, cominciò la lenta opera di trasformazione e di riempimento, che si concluse con l'attuale struttura topografica.

Quando la Rocca era ancora in piedi, da occidente si entrava in Città o con un ponte levatoio, attraverso la porta principale (la cui struttura può ancora vedersi al centro della parte iniziale di via Principe Umberto), o dalla Porta del Vascellaro, detta anche del Maiotto (il Leoncini dice di non sapere perché si chiamasse così), sulla cui facciata sta ancora l'antico stemma papale, appostovi dall'antipapa Nicolò V (1328 - 1330).




    ...


La Contrada prendeva il nome dalla Chiesa di San Gregorio costruita sulla rupe, poco fuori la Porta del Vascellaro. Che fosse assai antica può dedursi dal fatto che nel 1497 "cascò et ruinò" e fu ricostruita "dalli fondamenti", con il concorso di tutto il popolo della comunità; la quale assegnò come contributo per la fabbrica tre anni del fitto di Bassano per i pascoli goduti nella piana di Lucignano, "che sono ducati 13 l'anno ".

A questo tempo dovrebbe risalire la facciata con quella conchiglia dai tipici tratti quattrocenteschi e le splendide pitture interne, riscoperte in questi ultimi anni (un San Gregorio, un San Sebastiano e una Madonna) che vengono attribuite ad artisti viterbesi. Ma il documento che più di ogni altro sta forse ad indicare l'antichità della prima chiesa di San Gregorio, è quella lastra di peperino, con le trecce barbare a nastri bisolcati, separati da una corda, databile al secolo IX, infissa in basso all'estremo lato destro della facciata. Essa fu collocata in quel luogo non per un caso, ma perché doveva appartenere al materiale della vecchia costruzione e, come tale, risaliva al periodo direttamente collegato con la presenza dei Longobardi nella nostra Città.


Appunti di Don Delfo Gioacchini


Testo tratto dal sito delle Confraternite di HORTAE http://www.hortae.it


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MessaggioInviato: Dom Set 14, 2008 11:47    Oggetto: Rispondi citando


SI RIPARTE ALLA GRANDE !!! INTANTO LA SOTTOSCRITTA SI STA OCCUPANDO DEI SOPRALLUOGHI IN ALTRI OSPEDALI ITALIANI E DELLE REALI POSSIBILITA' DI REALIZZO PER "Un Buco nel Muro".
Bisogna lavorare in tante..... Ma siamo tutti molto in gamba e non mancheranno le forze per il prossimo MURO da far crollare !! Un abbraccio caro e buon lavoro in tutti i desk

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MessaggioInviato: Dom Set 14, 2008 15:08    Oggetto: DESK - ORTE (VT) 14 SETTEMBRE 2008 – “OTTAVA DI SANT'EGIDIO” Rispondi citando



ORTE - PORTA DEL VASCELLARO - Contrada San Gregorio

qui nel 2006 era da mattino a sera il 1° desk ADRICESTA!













queste fotografie sono una esclusiva di ellebi per il nostro Forum

E anche quest'anno non mancherà di scattare stupende fotografie

e cogliere momenti dell'Ottava di S. Egidio e paesaggi mozzafiato
























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genziana



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MessaggioInviato: Dom Set 14, 2008 21:07    Oggetto: ORTE, tra Medioevo e passato recente, la Storia del Cinema Rispondi citando







FILOTEO ALBERINI nella Storia del Cinematografo


Il nostro illustre concittadino Filoteo Alberini inventò nel 1895 il “Kinetografo”, la prima macchina che riprendeva e proiettava immagini in movimento: il cinema. Il nostro genio, che già in età giovanile frequentava i laboratori di fabbri, falegnami e meccanici, incuriosito e affascinato da tutto ciò che voleva dire costruire, elaborare e più avanti fotografare, seguiva, con curiosità gli occasionali fotografi ambulanti che passavano per Orte. Cominciò così a scattare fotografie della nostra cittadina. Questa sua passione gli permise, dopo il servizio di leva nel Genio Militare, di essere assunto presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze. Da lì a poco, però, qualcosa cambiò la storia di tutti noi.

Era il 1894, a Firenze in piazza Vittorio sotto i portici, venne mostrato uno strano strumento che veniva dall’America, il Kinetoscopio: infilando l’occhio nell’apertura, come in un buco della serratura, e azionando una manovella si potevano vedere immagini in movimento. L’invenzione era di Edison, padre della lampadina e del fonografo. Passando di lì si fermò un giovane, si chiamava Filoteo Alberini. Lavorava all’Istituto Geografico Militare, occupandosi della riproduzione di mappe catastali. Era un tipo sveglio. Tanto sveglio da capire che lì dentro c’era molto più di una curiosità. C’era il futuro. Sembra di vederlo, tornare a casa pieno di agitazione, lavorare da solo, ideare e costruire un “apparecchio di presa di vedute e di proiezione animata”. Una frase complicata per dire: il cinema. Ci era arrivato! E come accadde per altre invenzioni scientifiche e tecniche, o per il telefono (Meucci / Bell), Alberini arrivò in volata con Luis e August Lumière. Ma non lo sapeva. Quando Alberini inventò il cinema, che chiamò Kinetografo, era l’autunno 1894. Chiese il brevetto della sua invenzione al ministero dell’Industria e del Commercio. E qui la storia di Alberini diventa in tutto una storia italiana: ottenne il brevetto n° 245032, ma per colpa della lentezza burocratica, un anno dopo averlo richiesto, il 21 dicembre 1895. In quello stesso dicembre Louis Lumière, con un apparecchio chiamato “Cinématographe”, molto simile a quello di Alberini, brevettato in Francia con leggero anticipo, presentava ad una cinquantina di persone la sua prima proiezione pubblica intitolata “L’arrivo del treno”. Il cammino del cinema era iniziato! Solo per un soffio, storicamente non è cominciato con Filoteo Alberini. Ma il nostro concittadino non si perse d’animo, realizzò molte altre cose di notevolissima importanza. Ripercorriamo a tal proposito con l’ausilio delle date tutta la sua genialità: Alberini nasce a Orte il 14 marzo 1867 in Via Piè di Marmo 159, proprio sotto i giardini pubblici che saranno teatro delle sue prime fotografie e pitture. Nel 1899 vince una Medaglia d’Oro all’Esposizione Fotografica di Firenze per aver ideato un nuovo procedimento fotolitografico che fa risparmiare tempo e denaro all’Istituto Geografico Militare nella stampa delle mappe militari. Brevetta il 21 dicembre 1895 il “Kinetografo” prima macchina da ripresa e proiezione di immagini in movimento. Nel 1904 con l’amico Dante Santoni, anch’egli di Orte, costituisce il primo stabilimento cinematografico Alberini&Santoni, trasformatosi nel 1906 in Cines con sede nel quartiere S. Giovanni a Roma, oggi via Veio. Nel gennaio del 1904 inaugura in Piazza Esedra (oggi Piazza della Repubblica) il cinema “Moderno”, la prima sala cinematografica di Roma, poi ingrandita e migliorata nel 1907. Il 20 settembre del 1905 viene proiettato il primo film italiano a soggetto “La presa di Roma”, ideato prodotto e diretto da Filoteo Alberini. Sempre in quell’anno lo stesso film viene presentato nella nostra piazza principale (oggi Piazza della Libertà) con un proiettore azionato da una trebbiatrice con motore a legna. Nel 1913 produce il primo colossal italiano “Quo vadis” che proietterà anche ad Orte (ci piace immaginare che sia proprio questa la macchina con la quale ha proiettato il film). Segue in quegli anni tutta la produzione di film e il lancio di numerosi registi e autori dell’epoca. Nel 1914 viene ricevuto dal Re al quale mostra le sue apparecchiature. Sono anni quelli a venire che rappresentano il massimo sviluppo della sua industria: produce 134 film a soggetto, 36 documentari e 57 comiche. Sue ulteriori invenzioni sono la “Cinepanoramica”, un sistema di obiettivo girevole che allarga l’immagine sullo schermo, l’anticipazione del moderno Todd-A-O o Vistavision, un “Cineorologio”, piccolo disco rotondo di pellicola con tanti fotogrammi che potevano essere visionati con un apparecchio da tenere in mano, una pulitrice meccanica per pellicole, e un apparecchio da applicarsi alle comuni macchine fotografiche per “registrare pose a tempi o battute rapide” che ai giorni nostri si chiama scatto in sequenza. Muore il 12 aprile del 1937 a Roma nella sua casa di Via Nazionale. Questo è Filoteo Alberini il nostro concittadino. Siamo certi che di lui se ne parlerà sempre di più, e che il suo genio e la sua inventiva possano occupare, in un giorno non molto lontano, il posto che meritano nella storia del cinema italiano e mondiale.

(15 marzo 2007)
L’Assessore alla Cultura - Maurizio Bernardini (fonte sito ufficiale del Comune di Orte)






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MessaggioInviato: Lun Set 15, 2008 16:32    Oggetto: Rispondi citando


SO CHE AD ORTE, COME SEMPRE HANNO LAVORATO BENE E SOPRATUTTO "coccolate" IN TUTTI I SENSI.... specialmente "culinario"... ehmmm... ehmmm..... tra le sfogliatelle e le pizze di Napoli e le leccornie ad Orte.... COMUNQUE BRAVE, aspettiamo resoconti e foto
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MessaggioInviato: Lun Set 15, 2008 18:40    Oggetto: Rispondi citando


ECCOMI QUI' A RELAZIONARVI SULLA GIORNATA TRASCORSA IERI AD ORTE.
E' STATA UNA DOMENICA INIZIATA MOLTO PRESTO, FORSE PER CURIOSARE IL CIELO DAL MOMENTO CHE LE PREVISIONI ERANO PESSIME, PERTANTO ALLE ORE 9 ERAVAMO AD ORTE, UNA CITTADINA ANCORA QUASI DORMIENTE.
IL TEMPO DI ATTREZZARE IL DESK E IL PAESE COMINCIAVA AD ANIMARSI DI TURISTI CHE AVEVANO DECISO DI PASSARE LA GIORNATA CURIOSANDO TRA I VICOLI, CONSUMANDO IL PASTO DOMENICALE IN TAVERNA E ASSISTENDO AL CORTEO STORICO E AL PALIO CONCLUSIVO DEI FESTEGGIAMENTI DEL 2008.
IL CIELO, CHE AL NS. ARRIVO SEMBRAVA VOLER SMENTIRE LE PREVISIONI METEO, D'UN TRATTO HA AVUTO UN BRUSCO CAMBIAMENTO, INFATTI E' COMINCIATA A SCENDERE UNA SOTTILISSIMA PIOGGERELLINA, TENTANDO COSI' DI MANDARE IN....ACQUA IL NS. DESK E IL NS. PROGRAMMA PER LA GIORNATA.
MA E' A QUESTO PUNTO CHE ORTE E IN NS. AMICI FANNO LA DIFFERENZA, SUBITO UNA GENTILE E DISPONIBILE SIGNORA CI HA MESSO A DISPOSIZIONE, A POCHI PASSI DA DOVE ERAVAMO, UN LOCALE TAVERNA CHE VIENE USATO PER ALLEGRE SERATE FAMILIARI E CHE POTREBBE ESSERE UN DELIZIOSO NEGOZIO, PERTANTO IN POCHI ATTIMI DA "AMBULANTI" CI SIAMO RITROVATE CON UNA CARINISSIMA E CONFORTEVOLE "BOTTEGA" CHE CI CONSENTITO DI TRASCORRERE UNA SPLENDIDA GIORNATA.
UN GRAZIE DI VERO CUORE ALLE AMICHE CHA HANNO CONDIVISO CON ME LA GIORNATA, LORETTA, ANNA RITA, FRANCA E SARA, SONO STATE MOLTO COLLABORATIVE, SERENE E ALLEGRE, COME PIACE A ME!!!
NEL TORNARE A ROMA, CON LORETTA, CHE PER LA 3^ VOLTA VENIVA AD ORTE, ABBIAMO FATTO UNA RIFLESSIONE, NOI TORNIAMO DA QUESTO APPUNTAMENTO SEMPRE MOLTO SERENE, CONTENTE, INSOMMA CARO FORUM, PER NOI ANDARE IN QUESTO TRANQUILLO PAESE, DOVE TUTTI CI ASPETTANO (QUALCUNO AVEVA CHIESTO NEI GIORNI SCORSI NOTIZIE SU DI NOI E SUL NS. ARRIVO), CI ACCOLGONO CON SIMPATIA E DISPONIBILITA', E' COME FARE "TRAINING AUTOGENO" CON CUI ABBANDONIAMO LE TENSIONI E CI RICARICHIAMO DI AUTOSTIMA E CONSAPEVOLEZZA PER CONTINUARE LA NS. IMPRESA, NIENTE MALE!!!
INUTILE DIRVI CHE OVVIAMENTE, DA QUANDO CI SIAMO MESSE AL RIPARO DALLE BIZZARIE METEREOLOGICHE, HA SMESSO DI PIOVERE E LA GIORNATA E' STATA BUONA, MA VI INFORMO CHE D'ORA IN POI I NS. DESK AD ORTE SARANNO PIU' FREQUENTI, PERCHE' LA NS. NUOVA "BOTTEGA" E' A DISPOSIZIONE OGNI VOLTA CHE VOGLIAMO.
BACI.

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Skitty93



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MessaggioInviato: Lun Set 15, 2008 19:44    Oggetto: Rispondi citando


Stare ad Orte per aiutare Adricesta è stata per me e mia madre davvero una bella esperienza!!
Infatti era la prima volta che partecipavamo al desk Embarassed
All'inizio eravamo entrambe(soprattutto io penso Rolling Eyes ) parecchio intimidite..a volte ho pensato anche di essere di intralcio per la buona riuscita dell'attività del desk...ma alla fine siamo riuscite a scioglierci.
E' stata davvero una bellissima esperienza e sia io che mia madre siamo molto contente non solo per la bella giornata trascorsa ma anche per essere riuscite ad aiutare Marina,Loretta e Annarita (che sono state tanto tanto gentili)in questa diciamo "missione" per aiutare Adricesta Embarassed

Vorremmo anche fare dei ringraziamenti...

Grazie a Marina,Loretta e Annarita per la loro gentilezza e simpatia e per i loro preziosi consigli
Grazie alla signora che ci ha trovato un riparo quando il tempo aveva iniziato davvero a peggiorare
Grazie anche agli abitanti di Orte che sono stati ospitali e generosi con noi

Grazie a tutti insomma ^_^

CiauX

By Skitty
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