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ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE poesia festival'08
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genziana



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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 04:26    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando



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genziana



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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 04:40    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando






Cesare Pavese nacque il 9 settembre 1908 a S. Stefano Belbo (Cuneo), sei anni dopo la sorella Maria (tra i due, altri tre figli morti in tenerissima età, una femmina e due maschi). Il padre, Eugenio, era cancelliere in tribunale, la madre, Consolina Mesturini, proveniva da una famiglia di agiati commercianti di Ticineto Po. Dopo la morte del marito, avvenuta il 2 gennaio 1914 a soli quarantasette anni, la donna portò avanti la famiglia con autorità e durezza. Regolare l’iter scolastico (prima elementare al paese natale, anni successivi all’istituto privato delle signorine Trombetta, a Torino, ginnasio inferiore presso l’Istituto “Sociale” dei Gesuiti, ginnasio superiore al “Cavour”).Nel 1926 conseguì la maturità classica presso il liceo “Massimo D’Azeglio”, “fucina di antifascisti”; qui fra i suoi maestri Augusto Monti, a cui si deve un impareggiabile ritratto dell’allievo in I miei conti con la scuola, ed era diventato amico dei coetanei Enzo Monferini, Tullio Pinelli, Remo Giacchero, Guido Bachi, Giorgio Curti. Nel ’27, per interessamento dello stesso Monti, nacque la “confraternita” degli ex-allievi, un gruppo di futuri intellettuali con spiccati interessi culturali e politici; di essa facevano parte, oltre a Pavese, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli, Massimo Mila, Norberto Bobbio, Giulio Carlo Argan, Federico Chabod. Iscrittosi alla Facoltà di Lettere, si laureò il 20 giugno 1930 con una tesi sulla Interpretazione della poesia di Walt Whitman (108/110, relatore Ferdinando Neri); poi un “capriccio” per una giovane di nome Dina, un mese di vacanza a S. Stefano Belbo con Pinolo Scaglione (il futuro Nuto di La luna e i falò), il cambiamento di casa e la morte della madre. Dopo un duplice, inutile tentativo di ottenere una borsa di studio alla Columbia University e un posto di assistente all’Università di Torino, si dedicò all’insegnamento in scuole private e serali (Bra, Saluzzo, Vercelli, Torino). Nel frattempo ebbe inizio la sua lunga e fortunata attività di traduttore: Il nostro signor Wrenn di Sinclair Lewis per Bemporad (1931), Riso Nero di Sherwood Anderson (1932), Moby Dick di Herman Melville (1932) e Dedalus di Joyce (1934) per Frassinelli, Il 42° parallelo e Un mucchio di quattrini di John Dos Passos (1935 e 1937), Il borgo di William Faulkner (1942) per la Mondadori, Uomini e topi di John Steinbeck (1938) e Il cavallo di Troia di Christopher Morley (1941) per Bompiani, Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders di Daniel Defoe e Autobiografia di Alice Toklas di Gertrude Stein (1938), La formazione dell’unità europea dal sec.V all’XI di Christopher Dawson (1939), La storia e le personali esperienze di David Copperfield di Charles Dickens (1939), Benito Cereno di Melville e Tre esistenze della Stein, La rivoluzione inglese del 1688-89 di George Macaulay Trevelyan (1940), Capitano Smith di Robert Henriques (1947) e Le civiltà nella storia di Arnold Toynbee (1950, con Ch. De Bosis) per Einaudi.
Arrestato il 15 maggio 1935 per la sua appartenenza al gruppo clandestino “Giustizia e Libertà” e, soprattutto, per la sua veste di direttore pro-tempore di “Cultura”, la rivista di Cesare De Lollis rilevata da Einaudi (aveva sostituito Leone Ginzburg, arrestato il 13 marzo dell’anno prima), fu tradotto a Regina Coeli, a Roma (“Io più penso alla mia situazione e più sono convinto che la terra è una valle di lacrime: il più grande poeta vivente d’Italia, e forse d’Europa, dov’è? A Regina Coeli. Cose dell’altro mondo”, lettera alla sorella Maria, 14 giugno 1935), e poi condannato a tre anni di confino nel paese di Brancaleone Calabro, dove giunse il 4 agosto. Ottenuto il condono dopo meno di un anno, il 13 marzo 1936 fece ritorno a Torino e riprese la sua collaborazione con la casa editrice Einaudi (assunto nel 1938, nel periodo gennaio-luglio del 1943 si occuperà della filiale romana con Mario Alicata, Antonio Giolitti e Carlo Muscetta).
Il 1936 è anche l’anno dell’esordio poetico con il volume Lavorare stanca, che vide la luce in un ambiente quanto mai estraneo al langarolo Pavese, a Firenze nelle Edizioni di Solaria, curate da Alberto Carocci. Il suo primo romanzo, Il carcere, scritto tra il novembre 1938 e l’aprile 1939, uscirà soltanto nel 1949; lo avevano preceduto Paesi tuoi (1941), La spiaggia (1942), Feria d’agosto (1946), Dialoghi con Leucò (1947), Il compagno (1947, premio Salento). Nel novembre 1949 uscirà la trilogia La bella estate (il racconto omonimo, Il diavolo sulle colline, Tra donne sole), che vincerà il premio Strega nel giugno 1950. L’ultimo romanzo, La luna e i falò, è dell’aprile di quello stesso anno.
Dopo l’8 settembre 1943 la casa editrice Einaudi fu posta sotto la tutela di un commissario della Repubblica sociale italiana, Paolo Zappa; Pavese allora si rifugiò presso la sorella Maria, sfollata nelle Langhe a Serralunga di Crea, ma non prese parte attiva alla resistenza (i motivi di questa scelta sono esplicitati nel romanzo La casa in collina, scritto dal settembre 1947 al febbraio 1948 ed edito nel 1949). Dopo la Liberazione si iscrisse al PCI, collaborò a “L’Unità” e portò avanti, nella delicata fase di ricostruzione dell’Einaudi, una lucida e illuminata attività di direttore editoriale, dando vita a nuove collane e promuovendo importanti iniziative (Santorre Debenedetti e i classici italiani, Franco Venturi e le scienze storiche, De Martino e l’etnologia, la famosa collana “viola”).
Il proposito di suicidio, enunciato fin dagli anni dell’adolescenza, divenuto un “vizio assurdo” in seguito alle delusioni amorose (Tina, la “donna dalla voce rauca”, e Constance Dowling detta Connie, la donna “venuta di marzo”) e al progressivo disadattamento esistenziale, si tradusse in “un gesto” il 27 agosto 1950, a Torino, in una camera dell’albergo Roma.
Postume uscirono le poesie di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951), i racconti di Notte di festa (1953), il romanzo Fuoco grande (1959), a quattro mani con Bianca Garufi, il ciclo di novelle (e poesie) Ciau Masino (1969). Postumi anche i saggi critici La letteratura americana e altri saggi (1951) e il diario, intitolato Il mestiere di vivere (1952).






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genziana



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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 05:00    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando









ANTENATI

Ho trovato una terra trovando i compagni,
una terra cattiva, dov’è un privilegio
non far nulla, pensando al futuro.
Perché il solo lavoro non basta a me e ai miei,
noi sappiamo schiantarci, ma il sogno più grande
dei miei padri fu sempre un far nulla da bravi.
Siamo nati per girovagare su quelle colline,
senza donne e le mani tenercele dietro alla schiena.


(primavera 1932)






Mi metto dunque, stamattina, per le strade della mia infanzia e mi riguardo con cautela le grandi colline – tutte, quella enorme e ubertosa come una grande mammella, quella scoscesa e acuta dove si facevano i grandi falò, quelle ininterrotte e strapiombanti come se sotto ci fosse il mare – e sotto c’era invece la strada, la strada che gira intorno alle mie vecchie vigne e scompare, alla svolta, con un salto nel vuoto[...]. Ero sempre arrivato soltanto a quest’orizzonte, a questi canneti [...], ma presentivo di là dal salto, a grande distanza, dopo la valle che si espande come un mare, una barriera remota (piccina, tanto è remota) di colline assolate e fiorite, esotiche. Quello era il mio Paradiso, i miei Mari del Sud, la Prateria, i coralli, Ophir, l’Elefante bianco ecc.

Lettera a Fernanda Pivano – 25 giugno 1942






Da bambino e ragazzo vissi in una vallata tra colline, poche, dai tratti famigliari. Le prime idee e i primi sentimenti mi si manifestarono là [...] Di là, il mondo cominciava a svelarmisi immenso e nei pomeriggi afosi tra i giochi talvolta già mi prendeva quell’aspirazione, che mi lasciava colla fantasia al di là di quelle colline lontane dietro un nome, una descrizione dei paesi che scoprivo nelle prime letture.

Taccuini, estate 1926





I MARI DEL SUD, vv. 1-23

Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo
mio cugino è un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere è la nostra virtù.
Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo
– un grand’uomo tra idioti o un povero folle –
per insegnare ai suoi tanto silenzio.

Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiesto
se salivo con lui: dalla vetta si scorge
nelle notti serene il riflesso del faro
lontano, di Torino. “Tu che abiti a Torino...”
mi ha detto “...ma hai ragione. La vita va vissuta
lontano dal paese: si profitta e si gode
e poi, quando si torna, come me a quarant’anni,
si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono”.
Tutto questo mi ha detto e non parla italiano,
ma adopera lento il dialetto, che, come le pietre
di questo stesso colle, è scabro tanto
che vent’anni di idiomi e di oceani diversi
non gliel’hanno scalfito. E cammina per l’erta
con lo sguardo raccolto che ho visto, bambino,
usare ai contadini un poco stanchi.





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L'ultima modifica di genziana il Gio Set 25, 2008 09:46, modificato 1 volta
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sarah72andrea



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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 09:31    Oggetto: Rispondi citando


GRAZIE GIUKY....

PAROLE BELLISSIME QUELLE DI CESARE PAVESE MA CHE FANNO AFFIORARE UN MALESSERE ANCORA PIU' PROFONDO...

LA VITA LO HA SEGNATO MOLTISSIMO....NELL'AMORE CERCAVA UNA RISPOSTA AI SUOI XCHE'....COME UNA MEDICINA CHE POTESSE FAR SPARIRE IL SUO DOLORE....RISPOSTE... CHE NON SONO MAI ARRIVATE...

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GLI AMICI SONO QUELLE RARE PERSONE CHE TI CHIEDONO COME STAI E POI ASCOLTANO PERSINO LA RISPOSTA...
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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 10:07    Oggetto: Buona fortuna alessandro Rispondi citando


Buona fortuna Alessandro,stasera leggerai un poeta che nella sua vita ha sofferto molto come anche noi soffriamo per l'amore quando non veniamo ricambiati e non troviamo alcun perchè e nemmeno purtroppo il modo di perdonare la persona che ci ha fatto del male,un'abbraccione alessandro e grazie giuly per queste belle preziose informazioni
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Adriana
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genziana



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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 10:13    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando







Torino, Panorama (anni trenta)


Città della fantasticheria, per la sua aristocratica compiutezza composta di elementi nuovi e antichi; città della regola, per l’assenza assoluta di stonature nel materiale e nello spirituale; città della passione, per la sua benevola propizietà agli ozi; città dell’ironia, per il suo buon gusto nella vita; città esemplare, per la sua pacatezza ricca di tumulto. Città vergine in arte, come quella che ha già visto altri fare l’amore e, di suo, non ha tollerato sinora che carezze, ma è pronta ormai se trova l’uomo, a fare il passo. Città infine, dove sono nato spiritualmente, arrivando di fuori: mia amante e non madre né sorella. E molti altri sono con lei in questo rapporto. Non le può mancare una civiltà, ed io faccio parte di una schiera. Le condizioni ci sono tutte.


Il mestiere di vivere – 17 novembre 1935






Quel che piacque dapprima a Paolo fu l’atmosfera della scena, quella lontananza, quei lumi radi. Somigliava a ciò che da un pezzo lui andava per la città a cercare fin nelle barriere: le vedute lontane, d’inverno, i corsi interminabili dai lampioni annebbiati, e gli urti e i contatti di quella folla di operai, alla sera, affrettantesi intorno a lui trasognato. Poi, vagabondando – nelle mattinate frizzanti, nelle giornate grigie – aveva scoperto un’altra bellezza di queste barriere: le fabbriche, tutte invetriate di finestre, ritte solitarie tra case nuove, bianchissime, disseminate nei prati. Quand’era studente, in ozio.
Queste furono i suoi grattacieli.


Arcadia, 21 settembre/7 ottobre 1929





I famosi grattacieli Paolo li aveva scoperti al cinematografo.
Paolo era sempre andato al cinematografo.
Da bambino, ricordava confusamente, la vita gli era stata funestata da visioni di pellicole orripilanti italiane o francesi che non lo lasciavano più dormire alla notte...






Tutto questo era molto lontano. Paolo ora aveva scoperto i grattacieli.
Era stata una sera che lui, ancora studente, strascinava in un piccolo cine un pomeriggio tedioso e freddo d’inverno. Una scena improvvisa: sul telone nebbioso, il paesaggio irreale dei colossi accatastati, geometrici e remoti.


Arcadia – 21 settembre/7 ottobre 1929



Lo stabilimento FIAT nel quartiere Lingotto di Torino


Luci mute ingioiellano la notte
le collane, nei viali, dei lampioni.

La lunga macerante solitudine
del giorno vile tra le case altissime
si riaccende di tutto il mio sangue
e mi s’aderge agli occhi fino al cielo.
Luci bianche, nei viali di vertigine,
si snodano lontano e senza un suono,
senza un essere vivo.
Io sono solo in mezzo all’universo
di tutte queste luci.
Da ogni parte mi s’aprono nei viali
le polveri azzurrine.
I ricordi vilissimi
tacciono per un attimo.
Ed il cielo è abbagliato, scomparso.

Domani, sotto il sudicio del sole,
riprenderà la vita solitaria.


Luci mute ingioiellano la notte, 1° febbraio 1929



Il suo studio, in via Lamarmora a Torino


Adoravano la città – Torino moderna, non la Torino barocca – anche proprio sotto l’aspetto figurativo: le prospettive nitide, la geometria degli isolati, il rigore del paesaggio urbano. Una bellezza di linee, di volumi, di masse.

Massimo Mila – Hommage à Cesare Pavese – Paris 1985


Gli schermi un tantino maculati dei cinemini da poche lire sono gli altari dove si celebrano feste d’arte, inaudite in luoghi meno popolari. Una quantità di filmetti giudicati dai nuovi esteti di scarto perché non rappresentanti “eccezioni” artistiche, passano in quelle traballanti macchine di proiezione. E ci sono dei capolavori dei più schietti: come “Sorella del peccato”, il mio film d’eccezione.

Di un nuovo tipo d’esteta (il mio film d’eccezione) 1930 circa


Cesare l’ho sempre servito, vestito, lavato, soprattutto dopo la morte della mamma: da allora ha sempre vissuto con noi, in via Lamarmora a Torino [...] studiava fino a notte, senza cenare, per non farsi cogliere dal sonno ed io lo attendevo per farlo mangiare prima che si coricasse[...] odiava perdere tempo per mangiare, odiava aspettare tra le portate: mangiava e leggeva, un occhio nel piatto ed uno su un libro o su un giornale. Per questo non gli piaceva andare al ristorante ed anch’io dovevo servirlo in fretta e furia. Trangugiava velocemente ciò che gli preparavo, e via, usciva, o si ritirava nel suo studio.

Testimonianza della sorella Maria





Voglio bene a mia sorella, perché non parla mai, perché è stata più bella di me, perché so che è delusa e ferita dalle stesse cose che più le stanno a cuore (la casa e le bambine e la vita), perché ha le mani consunte dai lavori, perché si alza ogni mattina all’alba e passa in chiesa e non ci crede ma si abbandona un momento e poi è come un dovere, una cosa rigida e giusta che va fatta.

Lettera a un’amica – 25 novembre 1945




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genziana



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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 10:41    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando





Ma alla fin fine, se lo debbo dire, io penso che a dischiudermi la vita sono stati in gran parte i libri.
Non le grammatiche o i vocabolari ma tutte le opere in cui vive qualche sentimento[...] Divoro Shakespeare, leggo il Boiardo e il Boccaccio alternati, tutto il rinascimento italiano, e finalmente la Légende des Siècles e le Foglie d’erba di Walt Whitman, questo è il più grande. Scorrazzo così, aiutato dalla conoscenza (poca ma cresce sempre) del pensiero del tempo, tra tutte queste civiltà che durano ora unicamente nella poesia, mi esalto dei loro ideali, e in essi guardo il cammino [...] e così studio la vita moderna.


Lettera ad Augusto Monti. Reaglie, agosto 1926




Pavese con alcuni amici nel 1927


Avevamo sempre in progetto passeggiate per una settimana di seguito, ma in realtà ci arrendevamo prima. Partivamo in tram e poi a piedi fino a Reaglie, da dove ci muovevamo con le provviste per la merenda, magari cenavamo nelle osterie e allora facevamo delle gran bevute. Tornavamo con molto chiasso e risate, una sera rammento Vaudagna che cantava a squarciagola sulla piattaforma esterna del tram con un gran mazzo di gigli campestri tra le braccia.

Testimonianza di Tullio Pinelli



Augusto Monti, “Il profe” di lettere del Liceo d’Azeglio


E i conti tout-court sono questi: io ai miei scolari, a quelli di Torino, a quelli più miei – Pavese li rappresenta tutti – ho dato una cosa che potevano benissimo trovar da sé: la lettura dei classici; e una cosa di cui avrebbero benissimo fatto a meno, la politica, l’antifascismo. Essi a me han dato infinitamente di più, m’han dato la mia vera vita, m’han dato la loro vita.

Augusto Monti, “I miei conti con la scuola”



Mario Sturani, l’amico più caro


Coraggio, ormai sei maggiorenne e puoi liberamente disporre nel tuo testamento. Cerca di essere equo e di non commettere ingiustizie che pregiudicherebbero la tua santa memoria. Ricordati soprattutto che Sturani ed io siamo sempre stati i tuoi più affezionati e fedeli amici. Non lasciare nulla agli altri soci del Rattazzi che hanno detto sempre male delle tue poesie, come se proprio non valessero nulla. Ti avvisiamo anzi che se tu ce ne lascerai il manoscritto, unito, naturalmente, ai fondi necessari, noi non mancheremo a farlo stampare preceduto da una benevole, anzi indulgente introduzione. [...]
Penseremo noi a consolare Maria Violetta, Pucci e quelle altre poche donne che eventualmente ti abbiano amato.
Sereni ed impavidi come sempre davanti al dolore altrui, aspettiamo a ciglio asciutto il Fato ineluttabile. Affettuosamente

Enzo
Mario

Lettera scherzosa degli amici Mario Sturani
ed Enzo Monferini, 19 febbraio 1930





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genziana



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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 10:53    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando





Penso che Lei ricordi con quanta passione l’anno scorso io ammirassi e studiassi le cose d’America, e questa passione è andata crescendo. Lei sa pure che qui in Italia è quasi impossibile trovare qualsiasi cosa d’americano si cerchi [...] Sono a malapena riuscito a trovare qualcosa di cui avevo bisogno per la mia tesi di laurea su Walt Whitman. (Lei non sa, sarò il primo italiano a parlare di lui distesamente e criticamente. Mi perdoni, quasi sarò io a rivelarlo all’Italia!).

Lettera ad Antonio Chiuminatto, Green Bay, Wiscounsin,
(Torino) 29 novembre 1929




Registro dell’esame di laurea con tesi sulla poesia Walt Whitman


Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. E’ un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione.

Incipit del I capitolo di Moby Dick tradotto da Cesare Pavese



Attrezzi per la caccia alla balena


Oltre agli indubbi meriti stilistici, la significatività del lavoro di Pavese come traduttore consiste nell’avere, insieme ad Elio Vittorini, fatto conoscere alla cultura italiana una letteratura diversa, quella americana, rappresentativa di un mondo libero e moderno.
Di fronte al chiuso orizzonte nazionale, dominato dall’ autarchia del fascismo e dalla corrente filosofica dell’idealismo, gli scrittori americani offrivano immagini di vitalità e un senso della realtà concreta e avventurosa.
I libri che venivano dall’America permettevano- scrisse Pavese- la scoperta di “una civiltà greve di tutto il passato del mondo e insieme giovane e innocente, una sorta di laboratorio” dove si cercava un modo di essere alternativo, moderno, che la situazione italiana non permetteva: da qui la nascita del “mito americano”.

Lettera a Luigi Rusca, (Torino,) 2 giugno (1937)



Le avventure di Topolino, Frassinelli tipografo-editore, Torino, 1933, a cura di Antony (Antonicelli).
Alla traduzione dei testi collaborò anche Pavese



Egregio Signor Rusca,
eccole come Lei voleva al principio di giugno Quattrini a palate. Ho seguito scrupolosamente i consigli del Ministero cioè inglesizzato i nomi italiani, lasciato cadere gli accenni a Lenin e sovieti, cancellato o sostituito un accenno al fascismo, taciuto o tradotto con dignità wop e dago. Di ognuno di questi interventi ho segnato il luogo nel testo inglese, che Le rimando, chiudendo l’espressione, taciuta o mutata, in parentesi rosse. Così potrà vedere Lei stesso. Restano nel testo italiano il tono demagogico di tutta la storia di Mary French, il viaggio in Russia di Don Stevens e qualche altra cosetta, che – come non segnalato dal Ministero nel dattiloscritto che serbo gelosamente a mia eventuale giustificazione – non ho creduto di dover sacrificare.
Quanto al lato letterario, il lavoro è stato massacrante, ma mi lusingo di avere risolte press’a poco tutte le difficoltà di tono, ispirandomi anche a quanto avevo fatto nel 42° Parallelo.





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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 11:04    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando





Nel maggio 1935 Pavese fu arrestato perché coinvolto in attività antifasciste: riceveva infatti al proprio indirizzo lettere politicamente compromettenti indirizzate a una militante del partito comunista clandestino con la quale aveva avviato una relazione amorosa, Battistina Pizzardo.
Venne condannato al confino a Brancaleone, un piccolo paese della Calabria, nel sud Italia, da cui non si poteva allontanare.
Doveva recarsi alla stazione di polizia quotidianamente, poteva ricevere posta ma non visite.
Durante il confino iniziò a registrare le sue inquietudini in un diario, pubblicato postumo con il titolo Il mestiere di vivere. Resterà a Brancaleone per circa un anno, fino al marzo 1936. Al ritorno dal confino trovò che la donna amata si era sposata: questa delusione sentimentale segnerà la sua esistenza e gli farà sfiorare il suicidio.



Fotografie segnaletiche del Casellario Politico della pratica del confino


Lo steddazzu

L’uomo solo si leva che il mare è ancor buio
e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
sale su dalla riva, dov’è il letto del mare,
e addolcisce il respiro. Quest’è l’ora in cui nulla
può accadere. Perfino la pipa tra i denti
pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquìo.
L’uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami
e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
tra non molto sarà come il fuoco, avvampante.

Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara
che l’inutilità. Pende stanca nel cielo
una stella verdognola, sorpresa dall’alba.
Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco
a cui l’uomo, per fare qualcosa, si scalda;
vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
dov’è un letto di neve. La lentezza dell’ora
è spietata, per chi non aspetta più nulla.

Val la pena che il sole si levi dal mare
e la lunga giornata cominci? Domani
tornerà l’alba tiepida con la diafana luce
e sarà come ieri e mai nulla accadrà.
L’uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
Quando l’ultima stella si spegne nel cielo,
l’uomo adagio prepara la pipa e l’accende.


9 –12 gennaio 1936



La spiaggia di Brancaleone Calabro


Qui, sono l’unico confinato. Che qui siano sporchi è una leggenda. Sono cotti dal sole.
Le donne si pettinano in strada, ma viceversa tutti fanno il bagno. Ci sono molti maiali, e le anfore si portano in bilico sulla testa. Imparerò anch’io e un giorno mi guadagnerò la vita nei varietà di Torino.
La grappa non sanno cosa sia. Se me ne mandate qualche ventina di bottiglie, io penserei a berle. (DICO SUL SERIO). Ho ricevuto i denari e temo forte che, se il Ministero non cambia opinione sui miei mezzi, due volte al mese ve ne chiederò altrettanti. Aspetto sempre la cassa coi libri.


Lettera alla sorella Maria da Brancaleone, 9 agosto (1935)


La mia stanza ha davanti un cortiletto, poi la ferrovia, poi il mare. Cinque o sei volte al giorno (e la notte) mi si rinnova così la nostalgia dietro i treni che passano. Indifferente mi lasciano invece i piroscafi all’orizzonte e la luna sul mare, che con tutti i suoi chiarori mi fa pensare solo al pesce fritto. Inutile, il mare è una gran vaccata.

Lettera alla sorella Maria da Brancaleone, 19 Agosto (1935)





Stefano sapeva che quel paese non aveva niente di strano, e che la gente ci viveva, a giorno a giorno, e la terra buttava e il mare era il mare, come su qualunque spiaggia. Stefano era felice del mare: venendoci, lo immaginava come la quarta parete della sua prigione, una vasta parete di colori e di frescura, dentro la quale avrebbe potuto inoltrarsi e scordare la cella. I primi giorni persino si riempì il fazzoletto di ciottoli e di conchiglie. Gli era parsa una grande umanità del maresciallo, che sfogliava le sue carte, rispondergli: - Certamente. Purchè sappiate nuotare.
Per qualche giorno Stefano studiò le siepi di fichidindia e lo scolorito orizzonte marino come strane realtà di cui, che fossero invisibili parete d’una cella, era il lato più naturale. Stefano accettò fin dall’inizio senza sforzo questa chiusura d’orizzonte che è il confino: per lui che usciva dal carcere era la libertà. Inoltre sapeva che dappertutto è paese, e le occhiate incuriosite e caute delle persone lo rassicuravano sulla loro simpatia.


Incipit del romanzo Il carcere




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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 11:22    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando





Le edizioni Einaudi nacquero negli anni Trenta a Torino ad opera del giovane Giulio Einaudi, figlio del futuro Presidente della Repubblica Italiana Luigi.
Fin dai suoi esordi la casa editrice puntò i suoi interessi nell’ambito della letteratura, italiana e internazionale, della filosofia, della storiografia, orientandosi verso una corrente di pensiero radicale e progressista, che causò non pochi problemi con la censura del regime fascista. Tra i primi collaboratori, oltre allo stesso Pavese, troviamo giovani intellettuali legati al movimento antifascista Giustizia e Libertà, come Leone Ginzburg, Massimo Mila, Norberto Bobbio, di area piemontese, e i romani Giaime Pintor, Muscetta e Alicata.
Nei primi anni del dopoguerra la casa editrice Einaudi svolse un ruolo determinante nell’ambito della cultura italiana caratterizzandosi grazie all’apertura ai giovani scrittori italiani, alla letteratura internazionale e alle nuove scienze umane.
All’Einaudi lavorarono, accanto a Pavese, scrittori come Italo Calvino e Elio Vittorini: la presenza di tali scrittori come collaboratori permise alla casa editrice di assumere una identità originale e di rappresentare una delle immagini caratterizzanti della cultura italiana del dopoguerra. Tra i nomi di poeti e scrittori pubblicati da Einaudi segnaliamo: Montale (premio Nobel 1975), Saba, Fenoglio, Gadda, Eduardo De Filippo, Morante, Fortini, Sciascia.


Spettabile Editore Einaudi,

accetto le condizioni che mi fate per l’edizione del mio racconto Paesi tuoi. Gradirei che simbolicamente mi fosse versato in anticipo n. 1 pipa, onde fumarmela e preparare in serenità altri e più seducenti racconti.
Dev.mo
Cesare Pavese


Risposta di Pavese alla lettera-contratto dell’editore Einaudi (Torino), 2 maggio 1941





Caro Giulio,
approfitto che è il giorno di Natale e sono qui solo solo all’ufficio, al tuo tavolo, per rispondere alla tua personale del principio del mese. Mi pare che giochiamo a nasconderci. Io nella mia ti facevo un discorso editoriale, tu mi rispondi con quesiti ad personam. Non c’entro io. Io non mi lamento di stare a Roma, anzi ci sto volentieri. Né mi lamento di non avere una casa. Se mai mi potrà dispiacere di non avere una moglie, ma per casa si sta bene dappertutto [...]
La questione era ed è soltanto editoriale. Intanto vedi continuare il processo di disgregazione. Adesso se ne è andata anche B. Impossibile fermarla. Motivi? Tutti e nessuno. Le sanguina, il cuore, pare, ma se ne è andata lo stesso. E’ il tono sede romana che continuo. E’ il senso di inutile futilità che produce questo lavoro, per giunta in mezzo a continue strettezze e contorcimenti, di cui sa qualcosa soltanto Teresa. [...] Eppure, abolire questa sede non si può – per mille ragioni, non bastasse questi che a Roma io ci sto – o ci posso stare – molto bene. Quello che non si può procrastinare è una discussione a tre, a quattro al massimo, e fare l’esame di coscienza. Secondo me dovrebbe uscirne una limitazione dell’attività giornalistica, la sospensione di parecchie collane, la riduzione di Roma a una semplice stanzetta dove starei magari anch’io con la dattilo e lo spedizioniere.
Se no, no. E’ chiaro?

Buon Natale. Pavese.




La casa editrice Einaudi, in via Biancamano


I bombardamenti di Torino si susseguirono dal novembre 1942. Dopo che la sede di via Mario Gioda I (l’attuale via Giolitti) venne colpita dagli spezzoni incendiari (12-13 luglio 1943), gli Uffici Einaudi si trasferirono in corso Galileo Ferraris 77, ma anche la nuova sede fu distrutta nel bombardamento del 7-8 agosto. L’indomani Pavese si ripresenta come ogni mattina tra le macerie dell’ufficio, toglie i calcinacci dalla scrivania e si mette a correggere bozze.





Ho letto ed ho sentito dire cose entusiastiche sul libro Paesi Tuoi di Pavese. Forse lo leggerò. Leggetelo. Pare che non sia semplicemente un’imitazione di certe mode letterarie americane, ma un’opera originale e profonda sulla vita piemontese, anche se improntata a quei modi espressivi spicci e vigorosi a cui ci hanno ormai abituati Dos Passos e Steinbeck.

Lettera di Vittorio Foa ai genitori, dal carcere di Civitavecchia, 11 agosto 1941





”Vero è che non bastano i suoi libri a restituire una compiuta immagine di lui: perché di lui era fondamentale l’esempio di lavoro, il veder come la cultura del letterato e la sensibilità del poeta si trasformavano in lavoro produttivo, in valori messi a disposizione del prossimo, in organizzazione e commercio d’idee, in pratica e scuola di tutte le tecniche in cui consiste una civiltà culturale moderna”

Testimonianza di Italo Calvino sulla funzione di operatore culturale di Cesare Pavese (dai Saggi)





Doro si fermò, squadrandomi. Che ti credi? Che io faccia il ritorno alle origini? Quello che importa ce l’ho nel sangue e nessuno me lo toglie.

La Spiaggia, II cap.


Bacca. E che vuol dire che un destino non tradisce?
Orfeo. Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; più profondo del sangue, di là da ogni ebbrezza. Nessun dio può toccarlo.


Dialoghi con Leucò, L’inconsolabile, 30 marzo-3 aprile 1946


In Pavese fu costante la riflessione sul mito classico e sul suo profondo valore antropologico che permetteva di indagare le motivazioni originarie dei comportamenti umani, il rapporto tra uomo e natura e i legami con la religione.
Il compito dell’artista, per Pavese, consisteva nello scavare nel fondo mitico, primigenio, irrazionale- l’arte moderna è, in quanto vale, un ritorno all’infanzia. In anni che furono dominati dalla corrente neorealistica, Pavese invece sottolineò la dimensione evocativa e lirica dell’arte.
Tale riflessione sul mito, oltre a portare alle grandi prove narrative dell’ultimo periodo, ebbe il merito di stimolare la cultura italiana a considerare aspetti della cultura contemporanea mitografica, etnoantropologica e psicoanalitica, guardate in quegli anni con diffidenza.


“ Gli uomini hanno un modo di nominare se stessi e le cose e noialtri che arricchisce la vita. Come i vigneti che han saputo piantare su questa collina.
Quando ho portato il tralcio a Eleusi io non credevo che di brutti pendii sassosi avrebbero fatto un così dolce paese. Così è del grano, così dei giardini. Dappertutto dove spendono fatiche e parole nasce un ritmo, un senso, un riposo.”


Dialoghi con Leucò


Omero pare che me lo mandino i miei. Inutile dire che detesto il greco e chi l’ha inventato, trovo che è lingua morta, illogica e artificiosa, che specialmente l’Edipo è una menata da ammazzare un bue, ma tant’è: la nostra sorte è da affrontarsi con animo gagliardo e risoluto”.

Lettera ad Augusto Monti, (Brancaleone), 29 ottobre (1935)


Nella prima edizione del volume (ottobre 1947), Pavese stesso scrisse questo testo di presentazione: “Pavese si è ricordato di quand’era a scuola e di quello che leggeva: si è ricordato dei libri che legge ogni giorno, degli unici libri che legge. Ha smesso per un momento di credere che il suo totem e i tabù, i suoi selvaggi, gli spiriti della vegetazione, l’assassinio rituale, la sfera mitica e il culto dei morti, fossero inutili bizzarie e ha voluto cercare in essi il segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po’ straccamente e ci sbadigliano un sorriso. E ne sono nati questi Dialoghi.”

Dialoghi con Leucò, Risvolto di copertina dettato dallo stesso Pavese


Ecco il capitolo IX. C’eravamo scordati che perché avv. e Silvia andassero insieme alla fiera, bisognava trovare il pretesto di escludere Giov. L’ho abbozzato con la storia che “lui se ne infischia”. Vedi tu.
Il capitolo mi pare scritto splendidamente ma un poco rigido, freddo, tranne nell’ultima parte. Appena faccio dei periodi distesi, io teorizzo come nel Mito e simbolo. Pazienza. Ricordati che la successione dei nostri capitoli è fondata su un’illusione. Per es. tu hai raccontato il colloquio alla rupe; io riprendo e alludo al colloquio come se l’avessi raccontato io. Voglio dire che non è che ognuno dei due protagonisti scriva filato come se non sapesse dell’altro – qui sta l’artificio che toglie al romanzo il possibile antipatico carattere di doppia autobiografia: il nostro è lavoro d’arte, non di sfogo.
Inutile spiegarti che donna Maria è una presunta parente e Lauria una cittadina come Maratea, all’interno, lontana come Rocca di Papa da Roma.
Ho trovato il titolo collettivo dei dialoghetti: Dialoghi con Leucò. Eh?


Lettera a Bianca Garufi, (Roma, marzo? 1946)





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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 11:34    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando





Il mito è insomma una norma, lo schema di un fatto avvenuto una volta per tutte, e trae il suo valore da questa unicità assoluta che lo solleva fuori del tempo e lo consacra rivelazione. Per questo esso avviene sempre alle origini, come nell’infanzia: è fuori del tempo. Un uomo apparso un giorno, chi sa quando, sulle tue colline, che avesse chiesto dei salici e intrecciato un cavagno e poi fosse sparito, sarebbe il genuino e più semplice eroe incivilitore. Mitica sarebbe questa rivelazione di un’arte, quando quel gesto fosse, beninteso, di un’unicità assoluta, non avesse presente e non avesse passato, ma assurgesse a una sacrale eternità che fosse paradigma a ogni intrecciatore di salici.

Feria d’agosto, Del mito, del simbolo e d’altro, 1943-44



Le Langhe


Una sera sorgeva la luna, sul ciglio della collina. Gli alberelli lontani erano neri; la luna, enorme, matura. Ci fermammo. Io dissi: - Tutti gli anni, a settembre, la luna è la stessa, eppure mai che me ne ricordi. Tu lo sapevi ch’era gialla?
L’amico guardò la luna, e ci pensava. Mi pareva davvero di non averla mai vista così, ma insieme di averne in bocca il sapore, di salutare in lei qualcosa di antico, d’infantile, tanto che dissi: - E’ una luna da vigna. Da bambino credevo che i grappoli d’uva li faccia e li maturi la luna.
Non so, - disse l’amico. – Per me è sempre la stessa.
Ora il brivido mi aveva lasciato e la luna col suo sapore di vendemmia ci guardava entrambi come una creatura che conoscevo e ritrovavo.


Feria d’agosto, Il Tempo, 8 aprile 1942


La luna, - disse Nuto, - bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una tina la devi lavare quando la luna è giovane. Perfino gli innesti, se non si fanno ai primi giorni della luna, non attaccano.
Allora gli dissi che nel mondo ne avevo sentite di storie, ma le più grosse erano queste. Era inutile che trovasse tanto da dire sul governo e sui discorsi dei preti se poi credeva a queste superstizioni come i vecchi di sua nonna. E fu allora che Nuto calmo calmo mi disse che superstizione è soltanto quella che fa del male, e se non adoperasse la luna e i falò per derubare i contadini e tenerli all’oscuro, allora sarebbe lui l’ignorante e bisognerebbe fucilarlo in piazza
.

La luna e i falò



L’amico Pinolo Scaglione (Nuto) davanti alla sua falegnameria


C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire “ Ecco cos’ero prima di nascere”.
Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un palazzo, oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione.


La luna e i falò, capitolo I





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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 11:52    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando





Caro Giulio,
l’incursione di stamattina lunedì (h. 11-14) ha battuto lo scalo di San Lorenzo. Benchè fosse contro le ferrovie, più che contro Roma, c’è ormai motivo di temerne altre, e attualmente (ore 24,30) siamo in un rifugio di Via Po, tutti presi in un impeto di dedizione. [...] Sotto le bombe noi abbiamo fatto due meditazioni: una relativa alla grande probabilità che presto avvenga un taglio fra Nord e Centro, l’altra relativa alla nostra posizione nel caso di questo taglio. La vita della filiale romana della ditta sarebbe inconcludente, oltre che difficile.


Lettera a Giulio Einaudi, Torino. (Roma), 19-20 luglio (1943)


Cara Fern,
sono arrivato a Torino oggi e sono occupatissimo in quanto il mondo è tutto cambiato. La nuova sede è Corso Galileo Ferraris 77, telefono 40810. Si faccia viva.
Suo Pavese


Lettera a Fernanda Pivano, Torino, 26 luglio 1943



I bombardamenti di Torino (1942-43)


Costretto a darsi alla macchia dall’occupazione tedesca e dall’insediamento nella sede torinese della casa editrice Einaudi del Commissario della Repubblica Sociale Paolo Zappa, Pavese si era rifugiato a casa della sorella Maria, a Serralunga di Crea. Per vivere, aveva preso a dare lezioni private al Collegio dei Padri Somaschi nella vicina città di Casale.

Nota di Lorenzo Mondo ad una lettera del gennaio 1944, da Serralunga di Crea


Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini: sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare che l’ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.

La casa in collina, cap. XXIII



Aprile 1945. Torino.
La fine della guerra: una camionetta di partigiani della divisione "Giustizia e Libertà".



Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.


Da “La terra e la morte”, 9 novembre 1945.


Mi raccontò una brutta storia di serve, di governanti, che padre e madre gli avevano tenuto intorno sul Greppo fino ai tredici ai quattordici anni. Gli avevano insegnato ogni sorta di sciocchezze di cui la principale era che ricchi si nasce e ch’era giusto che le donne facessero la riverenza alla mamma. Davanti a Dio, beninteso, erano tutti suoi figli. Difatti una serva se l’era preso nel letto non ancora dodicenne, e gli aveva succhiato il midollo per mesi. Poi non contenta lo portava dentro il bosco e ci giocavano a pigliarsi, tanto che Poli era già libertino prima ancora di esser uomo. Per lui la vita è queste cose diceva Pieretto - Rubava i sonniferi a sua madre per darsi la droga. Masticava il tabacco. Schiaffeggiava le serve per avere il pretesto di abbracciarle e farsi stringere.

Il diavolo sulle colline, cap. XXI



Pavese intreccia discussioni filosofiche e religiose anche con un nuovo conoscente, il giovane e poliedrico conte Carlo Grillo, che gli ispirerà il personaggio di Poli nel Diavolo sulle colline; dopo il 1946, avendo scoperto la comune vocazione letteraria, Grillo si rifarà vivo.


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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 12:16    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando





Certo signorina non potrà non stupirla, per non dir peggio, questa lettera di una persona che lei non conosce affatto.
Vorrei poter farmi perdonare scrivendole che se lei non conosce me io conosco lei, ma non sarebbe sfacciata la pretesa? Pure...
Io la conosco, signorina, la conosco, ripeto, ma così, di sfuggita, l’ho seguita, l’ho osservata a lungo, talvolta, ma senza mai osare avvicinarla. Conosco le sue linee esteriori, qualche istante della sua vita e soprattutto quel po’ di anima che da un viso si puo’ rivelare a un osservatore attento.
Ma è poco, signorina, al confronto dell’immensità di cio’ che vorrei conoscere in lei.
Io non sono che un comunissimo studente di 19 anni e lei è lontana, tanto lontana.


Lettera a Milly – marzo 1927





E’ tornata la mia ballerina. Per questo ho tardato un po’ a risponderti. Il primo giorno l’ho voluta rivedere, poi mi sono imposto di girare tutta la notte per le strade delle mie colline, tra i boschi. Ho preso un freddo cane. E’ bella, sì, giovane, meravigliosa, tutto quello che si può dire, ma ci sono le poltrone in mezzo tra me e lei e nelle poltrone ci sono sempre seduti molti uomini. Questo piccolo fatto mi ha fatto riflettere e a poco a poco, e ci ho sofferto mica poco, la bella, la divina, la venerea lavoratrice delle gambe mi è svanita dalla mente. [...]
E’ sparita ed era giusto. Che cosa ne avrei fatto tanto? [...]
Se la più bella delle donne che mi passano accanto per la strada volesse me, me me solo, che cosa ne farei tanto? Io non so che cosa sia questa maledizione che ho indosso. Questa domanda che non mi lascia adorare in pace più nulla e nessuno.


Lettera a Mario Sturani, (Reaglie, luglio 1927)





Sulla spiaggia. Nel gruppo di bagnanti Battistina Pizzardo, con cui Pavese intrecciò una travagliata relazione. Per l'aiuto fornito all'attività clandestina della giovane, impegnata politicamente, Pavese venne inviato al confino

Cesarino: a quei tempi era un bel ragazzo alto, snello, un gran ciuffo sulla fronte bassa, il viso liscio, fresco, di un leggero color bruno soffuso di rosa, i denti perfetti. Mi piacevano i suoi occhi innamorati, le sue poesie, i suoi discorsi tanto intelligenti che diventavo intelligente anch’io, mi piaceva il senso di fraternità che ci veniva dalla stessa origine bottegaio-contadina, da un’infanzia vissuta nei nostri paesi delle Langhe, e per tanti versi simile.

Tina Pizzardo – Senza pensarci due volte


A*, Torino

Cara,
scrivo con la tua stilografica. Nonostante la cattiva esperienza non so resistere alla tentazione di una lettera. Non so se le cartoline che ho spedito al vostro indirizzo vi siano giunte. Quattro tue mi sono arrivate. Approfitto di questo bravo ragazzo per mandarti un ricordo. E’ già usato, ma non ho altro.
Io passo le giornate (gli anni) in quello stato d’attesa che a casa provavo certi pomeriggi dalle due e mezzo alle tre. Sempre, come il primo giorno, mi sveglia al mattino la puntura della solitudine. Descriverti le mie ansie è impossibile. La mia pena non è quella scritta, sei tu; e lo sapeva bene chi ci ha così allontanati. Non scrivo tenerezze; il perché lo sappiamo; ma cerco il mio ultimo ricordo umano, è il 13 maggio.
Ti ringrazio di tutti i pensieri che hai avuto per me. Io per te ne ho uno solo e non cessa mai. Tuo


Lettera a Tina Pizzardo, (Brancaleone) 17 settembre ([1935)


Siete un mucchio di fottuti. Me ne importa tanto a me di Frassinelli, di quel bischero di Franco, e se mangio all’albergo!
Quando la finirete di far finta di non ricevere che chiedo notizie, notizie, notizie, e una cartolina firmata, di *?
E avete ancora il becco di scrivermi se ho bisogno di qualcosa. Da un mese non chiedo altro.
Il confino è niente. Sono i parenti che costringono uno a lasciarci la pelle.
Che vi venga il cancro a tutti.


Lettera alla sorella Maria, (Brancaleone) 12 marzo (1936)



Fernanda Pivano


MATTINO

La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.

Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un ombra fuggevole, come di nube.
L’ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatta ricordo.

Nel crepuscolo l’acqua molle dell’alba
che s’imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l’impregna
e un sapore di frutto marino vivo.

Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare.



(9-18 agosto 1940)
Poesia dedicata a Fernanda Pivano
(come pure Estate e Notturno)



Dedica autografa a Cesare Pavese di Fernanda Pivano, traduttrice delle
poesie di Lee Master, con i ringraziamenti per l'incoraggiamento fornito



La ringrazio dei programmi. La telefonata di ieri mi ha aiutato a tornare alla poesia. Le offro i versi con lo stesso cuore con cui in agosto Le ho offerto i primi.

Lettera a Fernanda Pivano, 19 ottobre 1940



L’attrice americana Constance Dowling (Connie)


LAST BLUES, TO BE READ SOME DAY

‘T was only a flirt
you sure did know -
some one was hurt
long time ago.

All is the same
time has gone by -
some day you came
some day you’ll die.

Some one has died
long time ago -
some one who tried
but didn’t know.


Verra’ la morte e avra’ i tuoi occhi, 11 aprile 1950


I mattini passano chiari
e deserti. Così i tuoi occhi
s’aprivano un tempo. Il mattino
trascorreva lento, era un gorgo
d’immobile luce. Taceva.
Tu viva tacevi; le cose
vivevano sotto i tuoi occhi
(non pena non febbre non ombra)
come un mare al mattino, chiaro.

Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest’ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
E’ buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.


[Da Verra’ la morte e avra’ i tuoi occhi, 30 marzo 1950



Pavese a Cervinia nel 1950 con Connie

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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 12:36    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando





E Pavese amava la musica? No, si puo’ dire proprio che non era interessato, la musica colta, la musica d’arte, non lo interessava, non la seguiva. Tuttavia non era chiuso del tutto e c’era un reparto umile, modesto della musica di cui Pavese era appassionato. Questo reparto era la canzone, proprio la canzonetta da strada.

Massimo Mila – Conferenza del 18 febbraio 1984 – Vercelli


Silenzio. Il verticale attaccava. “Maruska”. Paolo si voltò e vide nella sala la modista e Môschin che si lanciavano soli. Fu felice. Quella era la canzone di Môschin, il suo inno di vittoria. Altre coppie si lanciarono. Un gran coro si formò
Dal dì che i miei occhi ti videro,
io quella promessa desidero.
O dolce Maruska
Tatì-ta-ta-ta...


Arcadia, 21 settembre – 7 ottobre 1929


A SOLO, DI SAXOFONO

Fragorosa sul viale
ecco a un tratto l’orchestra si spegne.
Sull’orchestra in sordina,
canta spiegato un saxofono rauco.

Fin la folla si arresta.
Le case indifferenti
gravano il cielo intorno.

Vibra la voce barbara.

--------------------------

Ecco che la mia vita
s’è frantumata a terra come un vetro.
La stanchezza che prima la reggeva
è scomparsa nel vortice del suono.
Resta l’anima inutile.
E le note si afferrano più acute
nell’aria, contorcendosi.

E’ la mia voce stessa
che echeggia questa notte.
Nell’anima smarrita
canta alto, altissimo la solitudine
una canzone ubriaca della vita.
La stanchezza fuggita,
non vivo per un attimo che all’urlo
modulato, esultante.
Tutta l’anima mia
rabbrividisce e trema e s’abbandona
al saxofono rauco.
E’ una donna in balìa
di un amante, una foglia
dentro il vento, un miracolo,
una musica anch’essa.

Rapido, troppo rapido l’istante.


26 maggio – 5 giugno 1929


Avevo cercato di avvicinare Pavese al jazz che naturalmente lo interessava in teoria, lui americanista, figurarsi se non gli interessava il jazz e in particolare Armstrong.
Lo appassionava anche, ma soprattutto come fatto linguistico, per il linguaggio, per lo slang della canzone di “art négre” di Armstrong. Il vero valore musicale del Cold jazz Pavese non lo apprezzava.

Massimo Mila, Conferenza del 18 febbraio 1994 - Vercelli


Capitò che un giorno, volendo fare una poesia su un eremita, da me immaginato, dove si rappresentassero i motivi e i modi della conversione, non riuscivo a cavarmela e, a forza d’interminabili cincischiature ritorni pentimenti ghigni e ansietà, misi invece insieme un Paesaggio di alta e bassa collina, contrapposte e movimentate, e, centro animatore della scena, un eremita alto e basso, superiormente burlone e, a dispetto dei convincimenti anti-immaginifici, “colore delle felci bruciate”. Le parole stesse che ho usato lasciano intendere che a fondamento di questa mia fantasia sta una commozione pittorica; e infatti poco prima di dar mano al Paesaggio avevo veduto e invidiato certi nuovi quadretti dell’amico pittore, stupefacenti per evidenza di colore e sapienza di costruzione. Ma, qualunque lo stimolo, la novità di quel tentativo è ora per me ben chiara: avevo scoperto l’immagine.

Il mestiere di poeta, novembre 1934


Ma quanto ci aveva arricchiti la lezione dell’impressionismo, la rivelazione dei pregi del non-finito contro la perfezione accademica del troppo finito! E infine non si dimentichi la presenza nel nostro gruppo di un pittore come Mario Sturani, il cui studio era il quartier generale della “banda”: ogni suo nuovo lavoro veniva sottoposto al più estemporaneo giudizio collettivo nell’esercizio d’una critica quanto mai confidenziale.

Massimo Mila -
Presentazione della Mostra Hommage a Cesare Pavese Paris 1985


Avevano già riempito i bicchieri, e chiacchieravano di quadri. Guido diceva della collina che voleva fare, e che aveva in mente di trattarla come una donna distesa con le poppe al sole, e darle il fluido e il sapore che sanno le donne.
Rodrigues disse: - Già fatto. Cambia. Già fatto.
Allora si attaccarono se era vero che questa pittura era già stata fatta, e mangiavano le castagne e gettavano le bucce nel caminetto. Amelia le gettava per terra. Un bel momento Guido disse: - Ma no che nessuno ha mai fatto le due cose insieme. Io ti prendo una donna e te la stendo come fosse una collina in cielo neutro.


La bella estate, cap. XVI








Pavese vincitore del Premio Strega per La Bella Estate, 24 giugno 1950





Il Compagno, uscito il 23 giugno 1947, segnalato per il premio Strega, a
giugno dell’anno successivo fu insignito del Premio Salento (estate 1948)





Sono centinaia le traduzioni delle opere di Cesare Pavese in varie lingue, dal russo al giapponese, e perfino in cinese e finlandese. Numerosissimi sono anche i saggi monografici che critici letterari di varie nazionalità hanno dedicato allo scrittore.
Il suo posto nella letteratura mondiale è tra i classici di ogni tempo.







Oh, una morte solitaria dopo una vita solitaria! Ora sento che la mia maggiore grandezza sta nel mio maggior dolore[...]
E allora cerchi concentrici afferrarono anche la lancia solitaria e tutto l’equipaggio e ogni remo fluttuante e ogni palo e, facendo girare le cose vive e quelle inanimate, tutto intorno in un vortice, trascinarono anche il più piccolo avanzo del “Pequod” fuori vista.


H. Melville, Moby Dick, cap CXXXV


E’ la prima volta che faccio il consuntivo di un anno non ancor finito.
Nel mio mestiere dunque sono re.
In dieci anni ho fatto tutto. Se penso alle esitazioni di allora.
Nella mia vita sono più disperato e perduto di allora. Che cosa ho messo insieme? Niente. Ho ignorato per qualche anno le mie tare, ho vissuto come se non esistessero. Sono stato stoico. Era eroismo? No, non ho fatto fatica. E poi, al primo assalto dell’ "inquieta angosciosa”, sono ricaduto nella sabbia mobile. Da marzo mi ci dibatto. Non importano i nomi. Sono altro che nomi di fortuna, nomi casuali – se non quelli, altri? Resta che ora so qual è il mio più alto trionfo – e a questo trionfo manca la carne, manca il sangue, manca la vita.
Non ho più nulla da desiderare su questa terra, tranne quella cosa che quindici anni di fallimenti ormai escludono.
Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò.

Ti stupisci che gli altri ti passino accanto e non sappiano, quando tu passi accanto a tanti e non sai, non t’interessa, qual è la loro pena, il loro cancro segreto?


Il Mestiere di vivere, 17 agosto 1950


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.


“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, 22 Marzo 1950


La cosa più segretamente temuta accade sempre.
Scrivo: o Tu, abbi pietà. E poi?

Basta un po’ di coraggio.

Più il dolore è determinato e preciso, più l’istinto
della vita si dibatte, e cade l’idea del suicidio.

Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l’hanno fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio.

Tutto questo fa schifo.
Non parole. Un gesto. Non scriverò più



Il mestiere di vivere – 18 agosto 1950





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genziana



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MessaggioInviato: Gio Set 25, 2008 12:43    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI recita CESARE PAVESE Poesia Festival '08 Rispondi citando



ha scritto:



    Grandi attori leggono i grandi poeti


    A Poesia Festival ‘08 volti noti del cinema italiano,
    della televisione e del teatro, leggono e recitano
    testi per celebrare il piacere di un’arte antica.


Poesia Festival è da sempre un evento itinerante ed eclettico, capace di coinvolgere poeti, scrittori, musicisti, ma che chiama a raccolta anche numerosi attori. Tra i nomi più attesi, che non hanno bisogno di presentazioni, c’è quello di Alessandro Preziosi: giovedì 25 settembre alle 21.30 è a Levizzano Rangone, al Campo San Rocco, con la prima nazionale dello spettacolo "Il mestiere d'amare. Dedicato a Cesare Pavese" musicato da Andrea Farri.



INTERVISTA TELEFONICA CON ALESSANDRO PREZIOSI

MODENA RADIO CITY (registrata in due parti)


http://www.poesiafestival.it/immagini/home/2008/preziosi1.mp3

http://www.poesiafestival.it/immagini/home/2008/preziosi2.mp3

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