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Letture da Sant'Agostino:"l'umiltà compagna inseparabil
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Autore Messaggio
stef@nia



Registrato: 13/09/06 19:20
Messaggi: 6613
Residenza: Catania

MessaggioInviato: Mar Nov 18, 2008 18:55    Oggetto: Rispondi citando




In quegli anni, in cui avevo cominciato a insegnare nella mia città natale, m'ero fatto un amico che gli studi comuni mi rendevano particolarmente caro, mio coetaneo e come me nel fiore della giovinezza. Da bambini eravamo cresciuti insieme, insieme eravamo andati a scuola e insieme avevamo sempre giocato. Ma così amici come allora non eravamo stati mai - un'amicizia, certo, che non era ancora quella vera, perché vera è solo quella che tu stringi fra persone unite a te dall'amore diffuso nei nostri cuori tramite lo Spirito Santo, che ci è stato dato. Eppure era così dolce, come fusa nel fuoco di studi tanto simili. Perché io lo avevo perfino distolto dalla vera fede, che professava da ragazzo benché senza profonda convinzione, per introdurlo a quelle favole ossessive e nefaste che facevano piangere mia madre1. Ormai la mente di quella persona andava errando con me, e non poteva stare senza lui, il mio cuore. E all'improvviso tu c'eri alle spalle e la fuga era vana, Dio delle vendette e insieme fonte di accorate tenerezze, che ci converti a te per vie mirabili: e l'hai spazzato via da questa vita quando durava solo da un anno la nostra amicizia, dolce per me più di ogni altra dolce cosa di quegli anni.

Chi può contare da solo tutte le tue grazie che in sé solo ha provato? Dio mio, cosa facesti allora? Come è insondabile l'abisso dei tuoi giudizi! Bruciava di febbre, e restò a lungo incosciente in un sudore d'agonia: siccome non c'era più speranza lo si fece battezzare in stato di incoscienza. Io non me ne curai, nella presunzione che la sua anima avrebbe ritenuto quello che aveva appreso da me, piuttosto che un'operazione fatta sul suo corpo privo di sensi. Ma le cose stavano in tutt'altro modo. Infatti si riprese e sembrò fuori pericolo: e subito, appena potei parlargli - e fu molto presto, appena anche lui fu in grado di farlo, perché non mi allontanavo da lui, eravamo troppo legati - tentai, come se anche lui ne avesse voglia quanto me, di farlo ridere di quel battesimo che aveva ricevuto mentre era del tutto privo di sensi e di coscienza. Ma lui aveva già saputo di averlo ricevuto. E trasalendo inorridito come di fronte a un nemico, con una improvvisa libertà di giudizio in lui insospettabile mi avvertì che, se volevo rimanergli amico, dovevo smetterla di parlargli a quel modo. Da parte mia rimasi stupefatto e sconvolto, e trattenni per allora tutti i miei impulsi, per dargli il tempo di guarire e riacquistare le forze, e poi trattarlo come avessi voluto. Ma fu strappato alla mia demenza, per conservarsi in te a mia consolazione. Pochi giorni dopo, in mia assenza, è nuovamente assalito dalla febbre, e muore.

La tristezza calò buia sul cuore, e dovunque guardavo era la morte. E il mio paese divenne un patibolo, e la casa paterna m'era penosa e strana, e tutto quello che avevo condiviso con lui, senza di lui si convertiva in uno strazio enorme. I miei occhi lo cercavano invano dappertutto, e odiavo tutte le cose perché non lo tenevano fra loro e non potevano più dirmi "eccolo, viene", come quando era in vita e mi mancava. Ero divenuto un enigma angoscioso a me stesso e chiedevo a quest'anima perché fosse triste e mi opprimesse tanto e lei non sapeva rispondermi. E se dicevo: "Spera in Dio" lei non ubbidiva, giustamente, perché quella persona concreta che le era tanto cara e che aveva perduta era migliore e più vera del fantasma in cui le si ordinava di sperare. Solo il pianto mi era gradito e aveva preso il posto del mio amico fra i piaceri dell'anima.

E ora, Signore, tutto questo è ormai passato e il tempo ha lenito la mia ferita. Posso sapere da te che sei la verità perché il pianto sia dolce a chi è infelice, posso accostare alla tua bocca l'orecchio del cuore, perché tu me lo dica? O forse tu, per quanto onnipresente, hai respinto lontano la nostra tristezza, e te ne resti in te stesso mentre noi rotoliamo di prova in prova? E tuttavia se non potessimo piangere alle tue orecchie, non resterebbe nulla della nostra speranza. Da dove viene questo frutto delicato dell'amaro di vivere, che si coglie nel pianto e nei sospiri, nei lamenti e nei gemiti? Forse è nella speranza che tu ci ascolti, la dolcezza? Nelle preghiere, è giusto che sia così, perché il desiderio che ti raggiungano ne è parte costitutiva. Ma nel dolore di una cosa perduta e nel lutto che allora mi opprimeva? Certo non speravo di farlo rivivere e non chiedevo questo fra le lacrime: mi limitavo al dolore e al pianto. Ero infelice e avevo perduto la mia gioia. Forse anche il pianto è cosa amara, e ci solleva solo in confronto alla nausea delle cose godute un tempo, e ora aborrite?

Ma perché dico questo? Non è tempo di indagini questo, ma di confessioni. Ero infelice, come è infelice ogni mente conquistata dall'amicizia di cose mortali, che è fatta a pezzi quando poi le perde. E solo allora sente tutta l'infelicità di cui soffriva anche prima di perderle. Così mi accadeva a quel tempo e molto amaro era il mio pianto e solo nell'amarezza trovavo pace. Ero così infelice, eppure più del mio amico avevo cara la mia stessa vita infelice. Certo, desideravo che mutasse, ma non di perderla in vece sua: non so se avrei accettato anche soltanto di morire per lui, come fecero a quanto si racconta Oreste e Pilade, che vollero - se non è solo una favola - morire almeno insieme, uno per l'altro, perché per tutt'e due peggiore della morte era il non poter vivere con l'altro. Ma in me era nato come un sentimento contrario a questo, e la noia di vivere m'era non meno opprimente della paura di morire. E quanto più lo amavo, credo, tanto più odiavo come nemica atroce la morte che me lo aveva rubato e la temevo e mi pareva sul punto di polverizzare all'improvviso ogni uomo, come aveva potuto far con quello. Sì, ero proprio in questo stato, ricordo. Tu vedi il mio cuore, mio Dio, lo vedi dentro: vedi come ricordo, speranza mia, che spazzi via questi miei sentimenti in ciò che hanno di impuro, dirigendo verso di te i miei occhi e liberando i miei piedi dal laccio. Ero stupito che vivessero ancora gli altri mortali, quando era morto lui che avevo amato come fosse immortale, e ancor più ero stupito di vivere io stesso, che ero un altro lui, quando lui era morto. Qualcuno ha detto bene del suo amico, che era metà dell'anima sua. Io sentivo infatti che la mia e la sua erano un'anima sola in due corpi: perciò la vita mi faceva orrore - io non volevo vivere a metà - e perciò mi faceva paura la morte, con cui sarebbe morto ormai del tutto anche lui, lui che avevo molto amato.

Che follia non saper amare gli uomini come uomini! E sciocco l'uomo che non ha misura, insofferente dei limiti umani. L'uomo che allora ero: tutto furori e sospiri e pianti e turbamenti, senza pace e senza equilibrio. E mi portavo dietro l'anima mutilata e sanguinante, che ormai non ne poteva più di farsi trascinare in giro, e non trovavo modo di metterla giù, da qualche parte. No, non trovava pace: non nella frescura dei boschi, negli svaghi e nei canti, non nei giardini profumati o nell'eleganza delle feste, non nei piaceri dell'amore e del sonno, neppure infine nei libri e nella poesia. Tutto mi faceva orrore, perfino la luce, e qualunque cosa non fosse lui era opprimente e odiosa oltre ogni sfogo di pianto: l'unica cosa in cui l'anima trovava un po' di requie. Ma quando la si distoglieva da quello, subito mi schiacciava sotto il peso della tristezza. Verso di te, signore, avrei dovuto sollevarla per curarla: lo sapevo, ma non volevo e non ce la facevo, tanto più in quanto se pensavo a te non mi eri niente di solido e fermo. Perché non eri tu, era un vuoto fantasma, era il mio errore il mio Dio. E se tentavo di appoggiarla lì, l'anima, per farla riposare, scivolava nel vuoto e di nuovo mi crollava addosso, e per me io restavo un luogo gramo, dove non potevo stare e da cui non potevo allontanarmi. Dove, via dal mio cuore, poteva fuggire il mio cuore? Dove fuggire io, via da me stesso? Dove non esser braccato da me stesso? Dal mio paese sì, però, riuscii a fuggire. I miei occhi l'avrebbero cercato meno, dove non eran soliti vederlo: e così dal borgo di Tagaste me ne venni a Cartagine.

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cinzia76



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MessaggioInviato: Mer Nov 19, 2008 08:32    Oggetto: Rispondi citando


Grazie PAOLA, SARAH e STEFY!!!!inizierò a leggere qualcosa bacioni
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nanà



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MessaggioInviato: Ven Nov 21, 2008 10:57    Oggetto: messaggio Rispondi citando


Buona lettura!!!!
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mari27



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 08:27    Oggetto: Rispondi citando


Anch'io non ne so molto se non........qualcosa
dai lontani tempi di scuola.....ma mi affascina.
Questa è un'occasione per approfondire.


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cinzia76



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 08:37    Oggetto: Rispondi citando


Ciao Mari certo è l'occasione per approfondire tanto non è mai troppo tardi per farsi una cultura no??
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mari27



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 12:29    Oggetto: Rispondi citando


cinzia76 ha scritto:
Ciao Mari certo è l'occasione per approfondire tanto non è mai troppo tardi per farsi una cultura no??



Pienamente d'accordo!.....
La crescita e lo sviluppo intellettuale e spirituale
avvengono durante tutto l'arco della vita. Ciao!


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mari27



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 13:12    Oggetto: Rispondi citando


.........la pazienza.....è una dote che spesso mi manca!....


da "Morali Pastorali" - Sant'Agostino -

Pazienza e volontà umana.

16. 13. Essi rispondono facendo questi ragionamenti: Se la volontà umana senza alcun aiuto di Dio ma con le sole forze del libero arbitrio sopporta tanti mali gravi e orribili, sia nell’animo che nel corpo, per godere del piacere di questa vita mortale e dei peccati; perché allo stesso modo la medesima volontà con le stesse forze del libero arbitrio e senza aspettarsi alcun aiuto da parte di Dio, ma sufficiente a se stessa per la naturale possibilità, non sopporta pazientemente per la giustizia e la vita eterna qualunque fatica o dolore dovesse capitare? Dicono ancora: La volontà dei malvagi è capace, senza l’aiuto divino, di far loro affrontare tormenti per l’iniquità anche prima che altri vengano a torturarli; la volontà di coloro che amano i passatempi della vita terrena, senza l’aiuto di Dio, riesce a far sì che essi perseverino nella menzogna, pur in mezzo a tormenti quanto mai atroci e prolungati, affinché non abbiano a confessare i loro delitti ed essere puniti con la morte. E non sarà in grado la volontà dei giusti, senza l’aiuto d’una forza che le venga dall’alto, di sopportare qualsiasi pena per la bellezza che è propria della giustizia e per amore della vita eterna?

**

........su questo oggi voglio riflettere........

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rosy 90



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 14:26    Oggetto: Rispondi citando


« Fin dalla mia più tenera infanzia, io avevo succhiato col latte di mia madre il nome del mio Salvatore, Tuo Figlio; lo conservai nei recessi del mio cuore; e tutti coloro che si sono presentati a me senza quel Nome Divino, sebbene potesse essere elegante, ben scritto, ed anche pieno di verità, non mi portarono via. »

(Confessioni, I, IV)Lo tormentava più di tutti il problema del male: se Dio esiste ed è onnipotente, perché non riesce ad annientarlo?
« Tali pensieri volgevo nel mio petto infelice, gravato da preoccupazioni tormentosissime, perché temevo la morte e non avevo trovato la verità. Pure rimaneva ferma stabilmente nel mio cuore la fede cattolica nel Cristo tuo, Signore e Salvatore nostro [6], una fede ancora informe sotto molti aspetti, e fluttuante al di fuori della dottrina, eppure il mio animo non l'abbandonava. »

(Confessioni, VII,5)
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rosy 90



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 14:29    Oggetto: Rispondi citando


Il male morale [modifica]

Il male morale, secondo Agostino, era un errore della volontà dell’uomo: essa sceglieva d'indirizzare l’uomo verso qualcosa, un bene particolare scambiato per il bene sommo, che corrisponde a Dio. Ogni essere è bene perché è creato da Dio che è bene assoluto. Il male non è dunque essere né può esserci un principio del male contrapposto al principio del bene e in lotta con esso. Il male è solo carenza, deficit di essere e quindi di bene. Nessun principio assoluto, infatti, tollera, per così dire, la compresenza di un altro principio egualmente assoluto.

Il male fisico [modifica]

Agostino non negava la sofferenza e neppure il peccato (nel senso cristiano). Il male fisico è una conseguenza del male morale, poiché scaturisce dalla stessa origine metafisica, ontologica, che è essenzialmente mancanza di essere. Agostino tuttavia supera una convinzione diffusa nel periodo precedente, che concepiva la malattia e il dolore come una sorta di punizione divina delle azioni umane. Agostino esclude questa possibilità
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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 14:30    Oggetto: Rispondi citando


Il libero arbitrio [modifica]

Connesso al problema del male è quello riguardante la libertà umana. Se l’uomo non fosse libero, allora non avrebbe né meriti, né colpe. Il problema che si pone con questa affermazione è se esiste il libero arbitrio oppure la predestinazione, problema che si è venuto a creare in seguito al peccato originale:

* Dio, che è onnisciente e conosce il futuro, ha dato piena libertà all'uomo, ma sa che, lasciandolo libero, questi peccherà. Dio potrebbe anche intervenire per impedirglielo, ma non lo fa (libero arbitrio).
* L'uomo, così peccando, ha commesso il peccato originale, con cui ha compromesso la propria libertà, volgendola contro se stessa. Sebbene egli sia divenuto indegno di ricevere la salvezza, Dio, conoscendo le sue possibili scelte verso il male o verso il bene, dona ad alcuni, con la Grazia, la possibilità di salvarsi, mentre ad altri lascia la libertà di dannarsi; tuttavia, questa non è una scelta divina arbitraria, ma è semplicemente la prescienza di Dio che, nell'eternità (cioè oltre il tempo), vede coloro che possono ricevere la Grazia e coloro che non possono. Questi ultimi anche se la ricevessero non solo non si salverebbero, ma si dannerebbero ancor più. Dunque, per Agostino, la volontà di Dio precorre semplicemente la volontà dell'uomo, non la costringe, poiché tale nostra volontà è l'unica davvero che ci renda meritevoli della salvezza o della dannazione; infatti, anche se nessun uomo potrebbe salvarsi con la sola propria volontà, coloro che potrebbero salvarsi vengono soccorsi dalla Grazia divina, che li aiuta nella loro predisposizione. Tale concetto si spiega nella risposta evangelica di Cristo ai suoi discepoli, che gli avevano chiesto:

Paolo di Tarso
« "Chi si potrà dunque salvare?". E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: "Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile." » (Matteo 19,25-26)

Sarebbe d'altronde impossibile indagare le ragioni per cui Dio interviene a favore di alcuni e non di altri, perché noi non abbiamo titoli per criticare Dio. Agostino si rifà in proposito alle parole di Paolo di Tarso: «O uomo, chi sei tu per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "Perché mi hai fatto così?". Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare?».[2]

Fondamento della libertà umana è dunque per Agostino la Grazia divina, perché solo con la grazia l'uomo diventa capace di dare attuazione alle proprie scelte morali. Va distinto in proposito il libero arbitrio (che è la semplice capacità di scegliere tra il bene e il male), dalla libertà, che è invece la volontà effettiva di realizzare queste scelte. Qui si inserirà anche la polemica degli ultimi anni di Agostino contro Pelagio: essendo l'uomo corrotto dal peccato originale di Adamo, e quindi magari animato da buone intenzioni ma facilmente preda di tentazioni malvagie, Dio non solo interviene per illuminare l'uomo su cosa è il bene, ma anche per infondergli la volontà effettiva di perseguirlo.
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rosy 90



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 14:31    Oggetto: Rispondi citando


Il problema del tempo [modifica]
« Che cos’è dunque il tempo? Quando nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chiede e voglio spiegarglielo, non lo so. Tuttavia affermo con sicurezza di sapere che, se nulla passasse, non vi sarebbe un tempo passato; se nulla si approssimasse non vi sarebbe un tempo futuro se non vi fosse nulla, non vi sarebbe il tempo presente. Ma di quei due tempi, passato e futuro, che senso ha dire che esistono, se il passato non è piú e il futuro non è ancora? E in quanto al presente, se fosse sempre presente e non si trasformasse nel passato, non sarebbe tempo, ma eternità... Questo però è chiaro ed evidente: tre sono i tempi, il passato, il presente, il futuro; ma forse si potrebbe propriamente dire: tre sono i tempi, il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro. Infatti questi tre tempi sono in qualche modo nell'animo, né vedo che abbiano altrove realtà: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione diretta, il presente del futuro l'attesa... Il tempo non mi pare dunque altro che una estensione (distensio), e sarebbe strano che non fosse estensione dell'animo stesso. »

(Agostino d'Ippona, Confessioni XI, 14, 17: 20, 26; 26, 33)

Come il male è un semplice non-essere, allo stesso modo Agostino scoprì che anche il tempo non ha una sua vera consistenza, essendo soltanto privazione, mancanza di essere. Il problema del tempo in Agostino era collegato anzitutto all'obiezione dei pagani riguardo alla creazione del mondo ad opera di Dio: il Dio cristiano o è perfetto, e allora non si capisce perché abbia sentito la necessità di creare l'universo, oppure è imperfetto e solo con la creazione ha potuto raggiungere la perfezione. Pertanto, era perfetto prima e imperfetto dopo, oppure imperfetto prima e perfetto dopo. Ma il "prima" e il "dopo", affermava Agostino, cioè i limiti del tempo, non riguardano Dio: il tempo è una sua creatura; la sua dimensione è quella dell'eternità. Dio è principio e fine, alfa e omega.

Per Agostino, il tempo è quindi creatura di Dio, oggetto della sua eternità: "l'eterno che cammina". L'universo non deriva da una divinità imperfetta, che abbia sentito il bisogno,la mancanza di creare, ma ne richiede l'esistenza, poiché il tempo e l'evoluzione del creato, che sono all'interno di Dio, sarebbero inconcepibili senza una coscienza creatrice, preesistente a quella dell'uomo, che è il fine ultimo dell'opera divina.

Se il tempo, però, non è un problema per Dio, esso lo è per la comprensione degli uomini. Il tempo è, infatti, una strana realtà: il passato non è più, il futuro non è ancora e il presente non posso identificarlo nell'istante attuale, perché questo è subito trascorso, non è più. Quindi è una realtà costituita dal non-essere ma che modifica l'essere.

La soluzione di Agostino, che anticipava quella di Henri Bergson, fu assolutamente originale: per concepire il tempo, realtà dinamica, non si può utilizzare una definizione "statica", ma una dinamica; come non si può concepire un fiume sempre diverso per le sue acque se non esistesse il letto su cui scorrono, così lo scorrere del tempo è accompagnato dalla coscienza che permette che si abbia la comprensione del tempo come memoria del passato, attenzione al presente e attesa del futuro.
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rosy 90



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 14:32    Oggetto: Rispondi citando


« Che cos’è dunque il tempo? Quando nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chiede e voglio spiegarglielo, non lo so. Tuttavia affermo con sicurezza di sapere che, se nulla passasse, non vi sarebbe un tempo passato; se nulla si approssimasse non vi sarebbe un tempo futuro se non vi fosse nulla, non vi sarebbe il tempo presente. Ma di quei due tempi, passato e futuro, che senso ha dire che esistono, se il passato non è piú e il futuro non è ancora? E in quanto al presente, se fosse sempre presente e non si trasformasse nel passato, non sarebbe tempo, ma eternità... Questo però è chiaro ed evidente: tre sono i tempi, il passato, il presente, il futuro; ma forse si potrebbe propriamente dire: tre sono i tempi, il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro. Infatti questi tre tempi sono in qualche modo nell'animo, né vedo che abbiano altrove realtà: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione diretta, il presente del futuro l'attesa... Il tempo non mi pare dunque altro che una estensione (distensio), e sarebbe strano che non fosse estensione dell'animo stesso. »

(Agostino d'Ippona, Confessioni XI, 14, 17: 20, 26; 26, 33)
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rosy 90



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 14:33    Oggetto: Rispondi citando


Come il male è un semplice non-essere, allo stesso modo Agostino scoprì che anche il tempo non ha una sua vera consistenza, essendo soltanto privazione, mancanza di essere. Il problema del tempo in Agostino era collegato anzitutto all'obiezione dei pagani riguardo alla creazione del mondo ad opera di Dio: il Dio cristiano o è perfetto, e allora non si capisce perché abbia sentito la necessità di creare l'universo, oppure è imperfetto e solo con la creazione ha potuto raggiungere la perfezione. Pertanto, era perfetto prima e imperfetto dopo, oppure imperfetto prima e perfetto dopo. Ma il "prima" e il "dopo", affermava Agostino, cioè i limiti del tempo, non riguardano Dio: il tempo è una sua creatura; la sua dimensione è quella dell'eternità. Dio è principio e fine, alfa e omega.

Per Agostino, il tempo è quindi creatura di Dio, oggetto della sua eternità: "l'eterno che cammina". L'universo non deriva da una divinità imperfetta, che abbia sentito il bisogno,la mancanza di creare, ma ne richiede l'esistenza, poiché il tempo e l'evoluzione del creato, che sono all'interno di Dio, sarebbero inconcepibili senza una coscienza creatrice, preesistente a quella dell'uomo, che è il fine ultimo dell'opera divina.

Se il tempo, però, non è un problema per Dio, esso lo è per la comprensione degli uomini. Il tempo è, infatti, una strana realtà: il passato non è più, il futuro non è ancora e il presente non posso identificarlo nell'istante attuale, perché questo è subito trascorso, non è più. Quindi è una realtà costituita dal non-essere ma che modifica l'essere.
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Selima78



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MessaggioInviato: Sab Nov 22, 2008 14:57    Oggetto: Rispondi citando


Rolling Eyes Wink Ciao ragazze,anch'io ho letto "Le confessioni",sia per piacere di leggerlo che per studio,e avendolo letto 2 volte ho avuto molte difficoltà,mi so resa conto che più leggi i suoi scritti più scopri ciò che precedentemente non avevi compreso...Un bacio a tutte e buona lettura nelluniverso del sapere divino.
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cinzia76



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MessaggioInviato: Dom Nov 23, 2008 09:19    Oggetto: Rispondi citando


Bene Mari allora ci proviamo!!!
Ciao Selima piacere di rileggerti come stai?un bacio
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