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genziana



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 03:18    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI Omaggio a CESARE PAVESE 27/8/10 FESTIVAL Rispondi citando




      PAVESE FESTIVAL 2010
      - 10ª Edizione

      a cura della Fondazione Cesare Pavese



    Venerdì 27 AGOSTO

    Piazza Confraternita
    - ingresso gratuito -

    SANTO STEFANO BELBO (CN)




    Ore 18.30

    Annullo Filatelico in occasione del
    Sessantenario della morte di Cesare Pavese

    Ricordo di Nicola Enrichens e Ernesto Treccani
    amici di Cesare Pavese e della Fondazione C. Pavese
    con esposizione di lettere autografe e documenti inediti



    Ore 21.30

    Il mestiere di amareOmaggio a Cesare Pavese


        reading Con ALESSANDRO PREZIOSI







    PAVESE nacque a S. Stefano Belbo (CN) il 9 settembre 1908

    grande scrittore del Novecento, traduttore e critico letterario

    il 27 agosto 1950 morì a Torino • Anniversario e 10° Festival



Chiude Alessandro Preziosi, fra i volti più amati dello spettacolo italiano, talento poliedrico che si divide tra teatro, cinema e televisione, interpretando Il mestiere di amareOmaggio a Cesare Pavese; un recital in cui, con grande sensibilità artistica propone un percorso dedicato allo scrittore: un lungo racconto, attraverso poesie e lettere, sulla comunicazione con le donne e col mondo e sulla solitudine.




Nella sera che ne segna il 60° Anniversario, lo spettacolo prende in prestito il titolo dal diario “Il mestiere di vivere” che, iniziato il 6 ottobre 1935 durante il periodo del confino, accompagna Pavese fino al 18 agosto '50, nove giorni prima della sua prematura scomparsa, e diventa a poco a poco strumento privilegiato cui affidare i pensieri sul proprio mondo di poeta, scrittore e di uomo e, soprattutto, le confessioni ultime su quei laceranti tormenti intimi che segnavano la sua vita.


Cesare Pavese ha messo in gioco tutto se stesso con il vigore e la fermezza con i quali riconosceva, pochi giorni prima di morire, di avere “dato poesia agli uomini”; ha “fatto” cultura nel senso proprio, più creativo, del termine, imprimendole una serie di spinte dagli effetti di lunga portata; è stato, insomma, un protagonista della vita intellettuale, al centro di una rete di relazioni e amicizie che compongono sotto gli occhi di chi le osserva la geografia di quel che di meglio è stato scritto e detto in Italia tra le due guerre e anche dopo.

Il recital intende così ripercorrere le analogie, le interconnessioni tra questo mestiere della scrittura, che ha sempre impegnato Pavese fin dalla adolescenza, ed il suo rapporto con il mondo femminile, con le donne, rapporto spesso amaro, disperato, sarcastico, raramente sereno e mai felice, attraverso lettere, note, poesie e brani del diario mettendo in risalto la vera tensione di Pavese verso una letteratura che sia “difesa contro le offese della vita”.

La poesia e la donna strette, avvinte, fuse in un unico grido che percorrerà tutta la sua vita. L’amore è la chiave che ci consente di entrare nel laboratorio poetico di Cesare Pavese e di scoprire le sue corde più intime nella fisica, a volte violenta drammaticità di molte delle sue pagine fino alla tragica epigrafe che chiude il diario di scrittura e vita “non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, infermità, nulla”.





Drammaturgia: Tommaso Mattei | Musiche: Andrea Farri | Produz. KHORA










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genziana



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 05:55    Oggetto: CESARE PAVESE 10° Festival 27/8/2010 con ALESSANDRO PREZIOSI Rispondi citando



ha scritto:



Teatro:
spettacolo di PREZIOSI chiude PAVESE Festival




Roma, 24 agosto 2010 - (Adnkronos) - Il 27 agosto ricorre il Sessantesimo Anniversario della morte di Cesare Pavese. La Fondazione dedicata a uno dei piu' grandi scrittori italiani ha scelto di celebrare questa importante data con una programmazione ricca di appuntamenti che culminera' nella serata conclusiva del Pavese Festival 2010 con lo spettacolo di Alessandro Preziosi.

Venerdi' pomeriggio in Piazza Confraternita, a Santo Stefano Belbo in provincia di Cuneo, avra' luogo l'annullo filatelico delle cartoline commemorative realizzato in collaborazione con le Poste Italiane, mentre alle 18.30 nella Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo si terra' un ricordo di Ernesto Treccani e Nicola Enrichens: verranno esposte alcune delle lettere che compongono la nutrita corrispondenza che ci fu tra quest'ultimo e Cesare Pavese.

In serata, alle 21.30, Piazza Confraternita sara' palcoscenico del recital 'Il mestiere di amare', omaggio a Cesare Pavese, interpretato da Alessandro Preziosi, che propone un percorso dedicato allo scrittore: un lungo racconto, attraverso poesie e lettere, sulla comunicazione con le donne e col mondo e sulla solitudine, accompagnato dalle musiche di Andrea Farri.








      La rassegna stampa relativa all'evento parte oggi dalla pagina precedente
      in seguito sarà possibile rintracciare i link nella pagina d'apertura del topic

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genziana



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 07:56    Oggetto: CESARE PAVESE 10° Festival 27/8/2010 con ALESSANDRO PREZIOSI Rispondi citando



ha scritto:



Cesare Pavese, una morte che ancora commuove



«Siamo noi che dobbiamo chiedere perdono a lei, per sempre». Così Fernanda Pivano scriveva, ricordando la morte di Cesare Pavese, nel primo volume dei suoi ”Diari” (Bompiani, 2008). Una risposta, che deve aver risuonato nella sua mente per tanti anni, alle poche righe lasciate dallo scrittore prima di ingoiare la forte dose di barbiturici che lo avrebbe ucciso: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono...». Era il 27 agosto del 1950 e in una stanza dell'albergo Roma di Torino, Pavese mise fine alla sua vita a 42 anni. «Ci eravamo ritrovati tutti lì davanti alla sua bara, ciascuno strangolato da qualcosa che forse lo aveva offeso, che riaffiorava ora nella memoria, oddio se ci avessi pensato», racconta ancora nei ”Diari” la Pivano, morta il 19 agosto 2009, che aveva avuto Pavese come insegnante di italiano al Liceo d'Azeglio di Torino e grazie a lui aveva scoperto la letteratura americana e tradotto di nascosto e pubblicato con Einaudi la splendida ”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Una lezione quella di Pavese, vincitore del Premio Strega nel 1950 con ”La bella estate”, che ha portato una luce nuova nel nostro Paese sull'approccio alla cultura europea e americana. Poeta, scrittore e traduttore di classici americani da Melville a Dos Passos, Pavese fu arrestato nel 1935 per antifascismo e condannato al confino a Bracaleone, in Calabria. L'anno prima dell'arresto aveva iniziato la sua collaborazione con la Casa Editrice Einaudi. A sessant'anni dalla morte, la sua lezione sarà ricordata con un reading di Alessandro Preziosi su ”ll mestiere di amare. Omaggio a Cesare Pavese” con le musiche di Andrea Farri, a Santo Stefano Belbo, il paesino delle Langhe in cui era nato il 9 settembre 1908, e dove ha sede la Fondazione Cesare Pavese. Preziosi proporrà attraverso poesie e lettere un lungo racconto sul rapporto dello scrittore con le donne, il mondo e la sua solitudine. Venerdì 27 agosto sarà proposto anche un ricordo attraverso le testimonianze degli amici Nicola Enrichens, direttore didattico alle scuole elementari di Santo Stefano Belbo, a cui Pavese regalò una copia di ”Prima che il gallo canti”, e del pittore Ernesto Treccani, con esposizione di lettere autografe e documenti inediti. Treccani, morto l'anno scorso, in una testimonianza racconta «Come ho dipinto ”La luna e i falò”».


Domenica 29 agosto, nella natale dello scrittore, dove ha sede il Centro Pavesiano Museo Casa Natale, sarà poi consegnato il Premio Cesare Pavese 2010 a Gad Lerner per ”Scintille. Una storia di anime vagabonde” (Feltrinelli), a Margherita Hack per ”Libera scienza in libero stato” (Rizzoli), a Maria Luisa Spaziani per ”L'incrocio delle mediane” (San Marco dei Giustiniani), a Carlo Ossola per ”Il continente interiore” (Marsilio) e Jacqueline Spaccini per ”Aveva il viso di pietra scolpita” (Aracne).

Laura Strano




il Piccolo / Giornale di Trieste — 22 agosto 2010 - pagina 21 sezione: CULTURA - SPETTACOLO







ha scritto:



    Celebrazioni
    L’eredità di Pavese a 60 anni dalla morte


di MAURETTA CAPUANO

testo come nell'articolo da Il Piccolo





    a proposito dei Diari di Fernanda Pivano, di suoi ricordi su Cesare Pavese,
    potete trovare testimonianze ai link inseriti nel 1° messaggio della pagina

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L'ultima modifica di genziana il Mer Ago 25, 2010 16:54, modificato 1 volta
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nenepdl



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 07:58    Oggetto: Rispondi citando


grazie Giuly!!!
buona serata Capitano, a te e a tutti coloro che parteciperanno!
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genziana



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 08:27    Oggetto: ALESSANDRO PREZIOSI Omaggio a CESARE PAVESE 27/8/10 FESTIVAL Rispondi citando



ha scritto:



Cultura - 25 agosto 2010


Pavese, ritorno sulle colline


Malgrado i tagli, Santo Stefano Belbo lo ricorda a sessant’anni dalla morte



L’ha spuntata soltanto Cavour. Il conte Camillo Benso si è salvato in corner grazie ai festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Gli altri sedici comitati celebrativi invece, quelli istituiti con una legge del 1997 per commemorare nel 2010 i centenari della nascita o della morte di illustri italiani, sono stati travolti dai tagli dell’ultima finanziaria.
(...)
È molto polemico Giuseppe Artuffo, presidente della Fondazione Cesare Pavese nonché sindaco del comune di Santo Stefano Belbo, paese natale dello scrittore e sede deputata ai festeggiamenti (...).



Tant’è. Però il 27, giorno del suicidio in una camera dell’albergo Roma, a Torino, Santo Stefano lo ricorda con una commemorazione che chiude il Pavese Festival 2010 e che si allunga fino al 31 ottobre. Sono iniziative che cercano di restituire un Pavese intimo, privato, anche confidenziale, grazie ai ricordi degli amici Nicola Enrichens, il direttore didattico di Santo Stefano con cui Pavese intrattenne una fitta corrispondenza, inedita e ora esposta negli spazi della Fondazione, ed Ernesto Treccani, pittore contemporaneo recentemente scomparso ma presente con cinque tele dedicate a La luna e i falò, l’ultimo romanzo, quello del “congedo dal mondo dei vivi”, ispirato dal suo amico fraterno Nuto, «l’interfaccia – spiega ancora Artuffo – la giusta mediazione tra il poeta e il mondo contadino». Quel mondo sempre radicato, che «anche quando non ci sei resta ad aspettarti», perché «un paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene», che era anche il mezzo per esprimere la sua internazionalità. «La sua universalità, il suo essere insieme fuori dal tempo e di tutti i tempi».


Per questo dispiace che «proprio l’opera a cui Pavese teneva di più, I dialoghi con Leucò, sia stata sacrificata a causa dei tagli. (...)
Ventisei brevi racconti scritti in forma dialogica alla scoperta di quel sostrato culturale comune rappresentato dal mito, resi accessibili attraverso un percorso che era cominciato con un lavoro di Marco Morellini, ispirato a La belva, il sesto racconto, indicato da Pavese come fondamentale per comprendere il suo stato d’animo a pochi giorni dal suicidio.



Una costante «intolleranza verso se stesso, unita a un’inaspettata autoironia» è anche il filo conduttore del recital di Alessandro Preziosi, venerdì sera, presso la Confraternita dei Santi Giacomo e Cristoforo, adiacente alla Fondazione.
Il mestiere di amare, che mutua il titolo da Il mestiere di vivere, è «una struttura aperta – spiega Preziosiche ha l’obiettivo di raccontare l’animo bellico verso se stesso, e quella solitudine che trovava sollievo nell’amicizia e nelle passeggiate». Sono lettere e poesie alternate a postille «che raccontano dei suoi primi amori con una ballerina da cui lo dividevano, come si legge in una lettera, “tante poltrone” (quelle di un teatro), o che lo ritraggono intollerante verso se stesso e insopportabile agli altri, perché, si legge ancora in uno scritto autografo, “se incontraste Pavese sareste sicuri che vi fermerete a chiacchierare?” Descrizioni molto forti ma dalla struttura sintattica semplice» sulle donne, il mondo, la solitudine, che potevano essere l’illuminante contraltare alla complessa architettura dei dialoghi.


Pazienza.
Alessandra Bernocco








    (testo/intervista tratti dall'articolo pubblicato in originale su europaquotidiano.it)

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genziana



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 08:58    Oggetto: 27/8/2010 PREZIOSI legge IL MESTIERE di Amare/ CESARE PAVESE Rispondi citando



ha scritto:



Cultura&Spettacoli



Pavese, ciò che resta del «mestiere di amare»


A sessant'anni dalla morte un reading di Alessandro Preziosi e altre iniziative in ricordo dello scrittore.



A sessant'anni dalla morte, il prossimo 27 agosto, la lezione di Cesare Pavese sarà ricordata con un reading di Alessandro Preziosi su «Il mestiere di amare. Omaggio a Cesare Pavese», con le musiche di Andrea Farri, a Santo Stefano Belbo (Cn), il paesino delle Langhe in cui lo scrittore era nato il 9 settembre 1908, e dove ha sede la Fondazione Cesare Pavese. Preziosi proporrà attraverso poesie e lettere un lungo racconto sul rapporto dello scrittore con le donne, il mondo e la sua solitudine.

Il 27 agosto sarà proposto anche un ricordo, attraverso le testimonianze degli amici Nicola Enrichens, direttore didattico alle scuole elementari di S. Stefano Belbo, a cui Pavese regalò una copia di «Prima che il gallo canti», e del defunto pittore Ernesto Treccani, con esposizione di lettere autografe e documenti inediti. Treccani, morto l'anno scorso, in una testimonianza racconta «Come ho dipinto "La luna e i falò"». Per l'anniversario è stato realizzato anche un rifacimento dell'originale della penna stilografica dello scrittore, conservata nel museo della Fondazione, e un annullo filatelico.



Il 29 agosto, a Santo Stefano Belbo, nella casa natale dello scrittore, dove ha sede il Cepam-Centro Pavesiano Museo Casa Natale, sarà poi consegnato il Premio Cesare Pavese 2010 a Gad Lerner per «Scintille. Una storia di anime vagabonde» (Feltrinelli), Margherita Hack per «Libera scienza in libero stato» (Rizzoli), Maria Luisa Spaziani per «L'incrocio delle mediane» (San Marco dei Giustiniani), Carlo Ossola per «Il continente interiore» (Marsilio) e Jacqueline Spaccini per «Aveva il viso di pietra scolpita» (Aracne).
Dopo le Giornate dedicate a Pavese, nel maggio scorso, nelle Librerie di Bologna, Firenze, Genova, Milano, Roma e Torino, a settembre dovrebbe partire un nuovo progetto di collaborazione fra la Fondazione Cesare Pavese e le Librerie Feltrinelli.

22 agosto 2010 - pagina 33






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pattyFI



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 09:56    Oggetto: Rispondi citando


Un altra grande recitazione lettura x Alessandro,che conquistera' come sempre il pubblico!

buona giornata a tutte/i!
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Donare un sorriso ad un bambino malato è un atto d'amore!



Io e te che facemmo invidia al mondo, avremmo vinto mai contro un miliardo di persone! [Mille giorni di te e di me]
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genziana



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 11:08    Oggetto: CESARE PAVESE 1950-2010 -60° Anniversario/Avvenire-religione Rispondi citando



ha scritto:



anniversari



Da Sanguineti a Barsotti, da Calvino all’amico padre Baravalle, tutte le testimonianze sull’inquieta ricerca dello scrittore, uno «spirito religioso» morto suicida a Torino sessant’anni fa



«Lo sgorgo di divinità lo si sente quando il dolore ci fa inginocchiare», scriveva. Poco prima della tragedia aveva cercato conforto in una chiesa, ma gli era sembrato di essere respinto da una mano invisibile: «Forse non sono degno»



          PAVESE : il mestiere di credere


«Mi scriveva da Roma, in un periodo di sconforto. Diceva di essersi recato in una chiesa, ma che gli era parso che una mano invisibile lo respingesse: 'Forse non sono degno di avvicinarmi a Dio'». Fu lo sfogo amaro che espresse in una lettera Cesare Pavese, pochi anni prima di morire, al suo amico e confidente il religioso somasco padre Giovanni Baravalle. Sono trascorsi sessant’anni da quel tragico 27 agosto quando in serata venne trovato morto in una stanza dell’albergo Roma di Torino lo scrittore Cesare Pavese (1908-1950): il grande poeta delle Langhe si era tolto la vita con sedici bustine di sonnifero. La sua opera, nel corso di questi sessant’anni, è stata solcata dalla critica di ogni segno e direzione mettendo in evidenza il suo dramma esistenziale ma anche religioso. Anzi buona parte della critica, da angolature ideologiche diverse, ha affermato che è giusto mettersi di fronte alla sua opera con l’umiltà tipica che si deve avere nei confronti degli spiriti religiosi. Non a caso molti critici, da Edoardo Sanguineti a Bona Alterocca, dal gesuita Domenico Mondrone a Geno Pampaloni, dal monaco Divo Barsotti fino ai recenti studi dell’arcivescovo dell’Aquila Giuseppe Molinari, di Vincenzo Arnone e di Antonio Spadaro, non hanno dimenticato le suggestioni religiose che hanno attraversato la breve vita di Cesare Pavese. Ancora oggi rivelatore di questa ricerca del trascendente è il giudizio di Geno Pampaloni nel trentennale della morte: «Credo in definitiva che Cesare Pavese sia stato quello che via via ha rappresentato; e credo che per rileggerlo con giustizia sia necessaria l’umiltà del dolore con cui i trentenni del’50 accolsero la notizia della sua morte. L’umiltà, vorrei aggiungere, che occorre di fronte agli spiriti religiosi». In molti scritti, da Il mestiere di vivere ai diari, dai suoi romanzi a – soprattutto – le lettere indirizzate, ad esempio, agli amici di sempre come Fernanda Pivano, Davide Lajolo, il cattolico e antico compagno al Liceo d’Azeglio Tullio Pinelli, alla sorella Maria emerge il grande fascino che Pavese avverte per la figura di Cristo come personaggio storico, associata per grandezza nel campo della carità a Dostoevskij – «Tutto il resto sono balle» –, ma ricorrono anche gli interrogativi sulla vita, la morte, il peccato, l’aldilà, l’esistenza di Dio. In particolare, sul finire degli anni Venti, si confronta con Tullio Pinelli sulla sua opera giovanile [i]Il crepuscolo di Dio[/i], dove affronta in modo fantastico ed originale, in uno stile quasi da pamphlet teologico, il tema dell’aldilà. Sono gli anni in cui Pavese, grazie a Pinelli, frequenta un sacerdote di simpatie moderniste, don Brizio Casciola. Con l’antico compagno di liceo manterrà una fitta corrispondenza fino all’agosto del 1950. Sarà lo stesso Pinelli, oramai divenuto famoso sceneggiatore di molti film di Fellini, nel 1996, in una intervista rilasciata a 'Jesus', a raccontare la religiosità del suo amico: «Era uno spirito religioso, tormentato dal dubbio, dall’incertezza. Il punto terminale, su questa terra, della nostra discussione è stato sulla religione e su Dio».

Nonostante le crisi esistenziali e religiose il pensiero di Dio diventa, come testimonia lo stesso poeta delle Langhe ne Il mestiere di vivere: «Lo sgorgo di divinità lo si sente quando il dolore ci ha fatti inginocchiare».

Ed è proprio durante il periodo di confino e di prigionia prima a Roma a Regina Coeli e poi a Brancaleone Calabro, negli anni Trenta, per le sue posizioni contro il regime fascista, che confida in alcune lettere alla sorella Maria di essersi appassionato alla lettura della Bibbia e delle Osservazioni sulla morale cattolica di Alessandro Manzoni. Nel 1939 Pavese giunge, addirittura, ad affermare che la religione è la soluzione del più gravoso problema della vita, quello relativo a come uscire dalla propria solitudine: «La preghiera è lo sfogo come con un amico. L’opera equivale alla preghiera, perché mette idealmente in contatto con chi ne usufruirà». Ma nell’itinerario religioso dello scrittore delle Langhe è il 1944 quello che lui stesso definirà «l’annata strana e ricca, cominciata e finita con Dio». In quel periodo, per sfuggire ai tedeschi e fascisti e agli orrori della guerra e non essere di peso alla sorella Maria, Pavese cerca un lavoro e lo trova presso i padri somaschi nel Collegio Trevisio di Casale Monferrato, come assistente e guida nelle ripetizioni agli studenti. Stringe una particolare amicizia con padre Giovanni Baravalle. È il religioso somasco a procurargli i libri durante il suo ritiro forzato: dall’Action di Maurice Blondel allo Spirito della liturgia di Romano Guardini, alla Storia delle religioni di Pietro Tacchi Venturi. Non a caso la mite figura del padre Baravalle ritornerà, nella narrativa pavesiana, in La casa in collina, sotto il nome di padre Felice. Il dialogo con il religioso somasco sfocerà in una sincera amicizia che porterà il poeta delle Langhe a ricevere il sacramento della confessione e il giorno successivo il 1 febbraio del 1944 la comunione. Durante il soggiorno a Casale Monferrato e a Serralunga di Crea frequenti sono le visite di Pavese al santuario della Madonna nera, dove si confronta sul tema del credere con un sacerdote di quel luogo.

Dopo il 1945 si diradano gli incontri con il 'suo prete', padre Baravalle, ma continua la corrispondenza testimoniata dalle tante interviste e testimonianze rilasciate dal religioso negli anni successivi alla morte di Pavese, dal 1970 al 1990 al 'Secolo XIX', 'Gente' e 'Il Corriere della Sera'. E proprio sulle colonne del 'Secolo' di Genova padre Baravalle, in un’intervista concessa a Carlo Repetti, tornerà con la mente alla drammatica lettera di Pavese in cui una «mano invisibile pareva che respingesse» lo scrittore delle Langhe da una chiesa di Roma: «Gli risposi immediatamente esortandolo a superare la crisi. Forse avrei dovuto essergli maggiormente vicino con gli scritti; è un rimorso che di quando in quando mi assale, come mi assalì la prima volta allorché leggendo il giornale del 28 agosto 1950 vi lessi la notizia del suicidio». E vent’anni dopo, nelle memorie stese e affidate alla cura di Cesare Medail, sul 'Corriere' aggiungerà: «Aveva un fondo di religiosità. Le tirannie della vita, le letture disordinate lo avevano gettato nel dubbio. Tutto questo mi convinse che il problema di Dio era rimasto ben presente in Pavese, dopo Casale, pur escludendo che i mesi del chiostro ne avessero fatto un fervente cristiano».

Un’irrequietezza forse di vivere che ancora oggi è ben scolpita dalle parole di Italo Calvino dedicate all’amico nelle sue lettere dal 1940-85: «La sua disperazione non era vanità del vivere, ma di non poter raggiungere quell’interezza di vita che desiderava». A sessant’anni dalla sua scomparsa rimane ancora attuale e intatto, nella sua lucidità e freschezza, il giudizio, scritto nel 1968, da don Divo Barsotti sul dramma esistenziale del poeta delle Langhe: «Pavese è stato consapevole di essere un vinto: ma da chi? L’impotenza a costruire una sua vita può essere stata la condizione, per lui, di abbandonarsi a Dio. Allora l’atto dell’abbandono avrebbe concluso la sua vita meglio di come egli poteva aver sognato». Il suo gesto estremo mette a nudo la sua «protesta di vita» come ebbe a scrivere ne Il mestiere di vivere. Su questa protesta riecheggiano ancora oggi le ultime parole del diario di Pavese, scritte il 18 agosto del 1950: «O Tu, abbi pietà. E poi?».

DI FILIPPO RIZZI

Martedì 17 Agosto 2010




Sopra, un celebre ritratto fotografico di Cesare Pavese mentre accende la sua pipa A sinistra, il Sacro Monte di Crea a Serralunga (Alessandria), spesso visitato dallo scrittore piemontese






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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 15:12    Oggetto: CESARE PAVESE - 2010 FESTIVAL - 60° Anniversario scomparsa - Rispondi citando



ha scritto:




NICOLA ENRICHENS e MASSIMO NOVELLI


          "Il mio amico Cesare Pavese"



    Il maestro, lo scrittore e il diavolo sulle colline


MASSIMO NOVELLI

TORINO - Era una sera di primavera del 1949. Da poco nominato direttore didattico a Santo Stefano Belbo, Nicola Enrichens entrò all'Albergo della Posta, sulla piazza grande del paese delle Langhe,e vide un ragazzino che stava buttando nella stufa alcune pagine di un libro. Ne prese una e si accorse che apparteneva a Paesi tuoi, il primo romanzo pubblicato da Cesare Pavese. Lo guardò. Poi gli disse: «Lo sai che quel libro lo ha scritto un tuo compaesano?». Aveva da poco letto Prima che il gallo canti, ammirava Pavese e sapeva che era nato proprio lì, dove però veniva di rado. Quanto era accaduto alla Posta lo indusse allora a cercare sue notizie presso i parenti e gli amici come Pinolo Scaglione, e soprattutto a riconciliare lo scrittore con la sua terra. Invitato attraverso la cugina Federica, a giugno Pavese ritornò a Santo Stefano. Al maestro regalò una copia di Prima che il gallo canti, con questa dedica: «A Nicola Enrichens con l' augurio che trovi nella mia terra qualcosa». Cominciò così l'amicizia, arricchita da un notevole scambio epistolare. A sessant'anni dal suicidio di Pavese, Francesco e Vincenzo Enrichens, i figli, e la vedova Paola Rubba, hanno deciso di rendere pubbliche quelle carte (sei lettere inedite, cartoline e altri scritti brevi), insieme a una lunga testimonianza (che pubblichiamo senza interventi editoriali in queste pagine) del maestro sullo scrittore piemontesee sul rapporto che intrattenne con lui. Il testo e la corrispondenza fra i due verranno presto raccolti in un volume curato da Mariarosa Masoero, che dirige il Centro studi "Gozzano-Pavese" dell'Università di Torino, in collaborazione con la famiglia Enrichens e con Paolo Borgna. Originario di Contursi Terme, in provincia di Salerno, Nicola Enrichens arrivò in Piemonte da militare. Dopo l'8 settembre '43 si unì alle bande partigiane e, al termine della guerra, si sposò e vinse il concorso per le scuole di Santo Stefano. Ricorda Franco Vaccaneo, presidente del comitato scientifico della Fondazione Pavese: «L'ex direttore didattico, un uomo che aveva dedicato la sua vita all'educazione e a un'idea di progresso sociale, mi parlava privatamente delle lettere di Pavese che conservava. Soltanto due, d'altronde, furono pubblicate nell'epistolario Einaudi». Era stato Italo Calvino, in una lettera del 16 giugno 1965, a dire allo stesso Enrichens che «le lettere a Lei sono molto importanti, perché con Lei Pavese s'era messo a discutere delle cose che gli stavano più a cuore, fatto che non gli succedeva quasi con nessuno». Il ritorno a Santo Stefano, del resto, culminò nella stesura de La luna e i falò, l'ultimo suo libro. Iniziarono a scriversi nel giugno del '49. Ancora il 6 luglio del 1950, poco prima di uccidersi, Pavese gli inviò un biglietto in cui ironizzava sulla sua vittoria al Premio Strega: «Caro Enrichens, la ringrazio del suo telegramma. Troppa degnazione per una faccenda pettegola e mondana come lo Strega. Come ho già scritto agli amici di S. Stefano, verrò presto a trovarvi, entro il mese». Furono principalmente la letteratura e i problemi della cultura di quegli anni, tra tradizione e arte moderna, provincialismo italiano e apertura al mondo, ermetismo e realismo, gli argomenti trattati dai due. Come quando, il 6 ottobre del '49, Pavese affermò che «soltanto attraverso la responsabilità, l'impegno rischioso, l'azione insomma, ci si fa un punto di vista. Per es., non si risolve il dubbio sull'arte - razionale o irrazionale, ottocentesca o novecentesca ecc. - se non ci si impegna a farne, cercando di essere sinceri. A poco a poco scopre se stessi,e il punto di congiunzione col proprio tempo. Quanto a Longanesi è un buffone, e un letterato - lo lasci ai suoi trasformismi». Non parlavano soltanto di letteratura. Lo scrittore affrontava in certi passi il suo legame con il comunismo, così come analizzava il suo sentirsi un comunista. Il 24 novembre del '49 lo aveva definito in questa maniera: «... io stesso lo sono molto sui generis». Il 15 gennaio del 1950 scriveva a Enrichens: «Il polso della vita batte ora non più in una corte o in una piccola classe ma nei grandi organismi collettivi (le fabbriche, i campi sportivi, gli organismi democratici ecc. - fra parentesi, anche per questo sono comunista) e si tratta di trovare il linguaggio tendenzialmente acconcio a toccare questi molti lettori - questo tipico lettore "uomo e basta"». Ma «ciò dev'essere fatto senza rinunziare a nessuno dei valori acquisiti in passato, senza abbassarsi al popolo: ma sollevando il popolo». Pavese aveva già dentro, nella tarda primavera del 1950, il «vizio assurdo» che lo avrebbe portato a togliersi la vita. Il Pavese che Nicola Enrichens ritrasse nel suo testo mai pubblicato, datando quella passeggiata sulla collina di Santa Libera agli inizi del giugno '50, era tuttavia un uomo che, pur in quei «giorni terribili del suo burrascoso amore con Costance Dowling», sapeva incantarsi davanti a un albero: «Si fermò davanti a un pesco fiorito ad ammirarlo: vidi, dietro i vetri tersi delle sue lenti, i suoi occhi brillare, come incantati per un miracolo». Il 27 agosto si sarebbe ucciso.





LA REPUBBLICA - 8 agosto 2010; pagina 31-32-33; sezione LA DOMENICA



      Quell'ultima passeggiata nelle sue Langhe


NICOLA ENRICHENS

Santa Libera è una collina situata a mezzogiorno di S. Stefano e vi si accede attraverso una strada asfaltata, che passa vicino alla vecchia torre, che è a mezza costa, sopra di un rittano profondo. Quando vi andammo con Pavese, salimmo lungo la scorciatoia, a sinistra della torre, e scendemmo dalla parte opposta, lungo la strada, ora asfaltata, allora polverosa. Era il 6 giugno del 1950, una mattinata dal cielo pulito, dall'aria "sclinta". Prendo la descrizione da una nota di cronaca della giovane maestra, che dirigeva la scuoletta di S. Libera, dal registro di classe: «L'inverno muore lentamente nella primavera. Una gioia viva c'è in tutti a salutare la terra che si rinnovella. Anche noi usciamo nei prati a cercare la primavera, raccogliere tra i fiori il suo profumo. I peschi e i mandorli sono tutti in trillo, punteggiati di fiorellini bianchi e rosa, e un odore inebriante di terra fresca c'è nell'aria trasparente. I ruscelli cantano fra le sponde fiorite, le violee le pratelline stellano i declivi dei prati in sfumature azzurre e violette». «Il mondo piccino si ridesta con le sue api d'oro e le farfalline ingioiellate per la grande festa. È tutto un fruscio ed un volo. Anche la lucertolina esce dal suo buco e corre svelta dove il sole batte più intenso. I bimbi amano questi umili insetti: s'immedesimano della loro vita e gioiscono d'ogni loro avventura». La sera precedente, il 5 giugno, lo scrittore, invitato da me, era venuto e aveva preso alloggio all'Albergo della Posta, dove io ero in pensione. Cenammo con buon appetito e Pavese, ricordo bene, sembrava ben disposto alla compagnia: mangiò persino due piatti di tagliatelle! Poi fummo ospiti di un comune amico, che ci offrì dello spumante. Si parlò del più e del meno ed anche della Resistenza. L'amico ebbe delle parole un po' accese sulla guerra, sulle distruzioni, sugli abusi di violenza. Vidi Pavese sbiancare in volto, alzarsi di scatto e dire: - Non esageriamo; le violenze ci sono state da una parte e dall'altra, ma la Resistenza ha salvato l'Italia dalla dittatura! - Io calmai le acque e la discussione assunse toni più distesi. Ma Pavese fu nervoso per tutta la sera. Eranoi giorni terribili del suo burrascoso amore con la C. Dowling. La mattina seguente andammo a S. Libera. Io dovevo visitare quella scuola - quindici bambini, una sola insegnante, quattro classi - ed invitai anche lui a venire. Mentre salivamo, per la strada di Seirole, che porta a S. Libera, Pavese mi fece tutto un panorama della letteratura contemporanea, dicendomi che, da noi, ciò che era rimasto di valido, come contatto colla realtà, era il ritorno a Verga. - Lei deve partire, mi disse, da Verga, salta la triade Carducci-Pascoli-D'Annunzio, ed arrivare, ad esempio a Federico Tozzi e De Sica. Mi parlò dell' "Ulisse", di Joyce, di Proust, (del quale mi mandò "La strada di Swann") di Lee Masters ecc. Si fermò davanti ad un pesco fiorito ad ammirarlo: vidi, dietro i vetri tersi delle sue lenti, i suoi occhi brillare, come incantati per un miracolo. Mi parlò del mito, delle religioni antiche, quando ci fermammo davanti a un pilone d'un santo, fu, per me, la sintesi meravigliosa dei miei studi, che Pavese ripulì, quel giorno, dei sedimenti della tradizione. Comprai, poi, "Tre croci" del Tozzi. Ritornammo all'Albergo della Posta; mangiammo di buon appetito, poi l'accompagnai, a piedi, fino alla stazione, dove egli prese il treno per Torino. Stava maturando il "Premio Strega". Ebbi, però, la sensazione che non fosse quell'orco, che tanti hanno, poi, descritto - fu molto cordiale, estroverso, quei due giorni; andava, forse, alla ricerca di una compagnia, di qualcuno che lo tirasse fuori dalla rete della travolgente passione amorosa. Dal trenta maggio al ventidue giugno non una sola annotazione sul suo diario. Aveva tutt'altro da fare. La C. gli aveva detto che sarebbe tornata, dopo l'incontro di Cortina, dopo due mesi. E si attacca alla sorella, alla Doris, per avere notizie. Il ventidue giugno parte per Roma, per il Premio Strega. Gli feci un telegramma, per il riconoscimento letterario. - A Roma, anche l'estate è bella, con lo Strega - Mi rispose, il 6 luglio, con questa lettera: 6 luglio '50 «Caro Enrichens, La ringrazio del suo telegramma. Troppa degnazione per una faccenda pettegola e mondana come lo Strega. Come ho già scritto agli amici di S. Stefano, verrò presto a trovarvi, entro il mese. Arrivederci e grazie ancora Pavese». Avevamo combinato, con Nuto, di festeggiarlo, a S. Stefano, una sera con una bicchierata. Ci aveva promesso che sarebbe venuto. Anche la cugina Federica aveva insistito. Ma aveva preso alloggio all'Albergo Roma a Torino ed aveva deciso di suicidarsi. La C. non era più tornata. Gli aveva scritto un biglietto dal New-Mexico, il 27 giugno, e Pavese sapeva che non l'avrebbe più rivista. E pensava alle notti di Cortina. Come un adolescente, non seppe resistere. Appresi la notizia della morte, a Garessio, leggendola sulla "Gazzetta Sera" del 28-29 agosto, che uscì con questo titolo, su quattro colonne, e la foto dello scrittore: "Con oltre venti cartine di sonnifero in un albergo di Torino, Cesare Pavese si è ucciso ieri". Dopo la morte, dopo il Premio "Strega" tutti avevano conosciuto Pavese, a S. Stefano, tutti si ricordavano di lui. Ancora adesso la maggior parte dei suoi concittadini non sa chi sia stato. Un tale mi dice, ancora oggi, che è stato suo compagno di scuola alle elementari; e Pavese le elementari le ha frequentate a Torino! I critici fecero il coro sullo scrittore, cercarono di spiegarne la morte. Luigi Barzini, sulla "Settimana Incom" scrisse che Pavese, a Roma, aveva fatto la fine di un qualsiasi provinciale, abbagliato dalle luci della città, lui che veniva dalla campagna, dalle Langhe!


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genziana



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 15:13    Oggetto: CESARE PAVESE - 2010 FESTIVAL - 60° Anniversario scomparsa - Rispondi citando



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genziana



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 16:29    Oggetto: CESARE PAVESE - 2010 FESTIVAL -60° Anniversario da scomparsa Rispondi citando






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Anniversari


Sessant'anni fa, il 27 agosto, lo scrittore si toglieva la vita in una stanza d'albergo. La distanza cronologica dovrebbe essere sufficiente perché la sua opera venga affrontata senza più pregiudizi, ma con oggettività.




      . LE MILLE FACCE DI CESARE PAVESE



Chi nel 1950, studente ginnasiale, apprese del suicidio di Cesare Pavese e cominciò allora a incontrare i suoi racconti o romanzi o traduzioni degli americani e, qualche anno dopo, lesse appassionatamente le poesie (uscite postume nel ‘51) di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, difficilmente poteva separare lo specifico peso letterario, gli effettivi valori di scavo nella realtà, di energia simbolica e di linguaggio di quei libri dalla figura dello scrittore tormentato fino al suicidio, dall'emozione che nasceva dall'inevitabile specchiarsi nell'io personale dell'autore delle contraddizioni che laceravano l'animo dei personaggi dei suoi romanzi, dalla figura del poeta che, quasi azzerando il confine fra grido esistenziale e trasfigurazione poetica, parlava del «vizio assurdo» della «morte che ci accompagna dalla mattina alla sera» e pronunciava quell'amarissima sentenza-profezia «verrà la morte e avrà i tuoi occhi».
È un'esperienza personale di chi scrive, ma deve essere stata simile all'esperienza di molti che hanno letto e amato Pavese nella seconda metà del Novecento, che storcevano il naso quando nel '65 Asor Rosa, in Scrittori e popolo, coinvolgeva Pavese – sia pure con minor severità rispetto a quanto diceva di Vittorini – nei pasticci letterari combinati dal populismo neorealistico. Ora sono passati sessant'anni dalla morte dell'autore, i suoi libri sono fra i pochi degli autori novecenteschi di cui si leggono alcune pagine nelle scuole, probabilmente esiste una libera lettura abbastanza diffusa di Pavese narratore, anche del narratore-antropologo dei Dialoghi con Leucò: insomma la distanza cronologica dovrebbe essere sufficiente perché la sua opera venga accostata nella sua oggettività di messaggi, di pensieri, di figure, di miti, di linguaggio e non più condizionata dall'ipoteca che su di essa faceva gravare quella vita ossessivamente tallonata dalla difficoltà di imparare «Il mestiere di vivere» (questo il titolo che Pavese diede al suo diario) e dal «vizio assurdo» della morte.
Certo non si scopre nulla di nuovo se si sottolinea che al centro di tutta la scrittura di Pavese c'è un nodo contraddittorio, qualcosa che mette in irrisolta frizione polarità opposte: solitudine e desiderio di apertura, esclusione e partecipazione, memoria e impegno sul presente, nostalgia dell'infanzia proiettata sullo sfondo di una campagna-Eden e inevitabile faccia a faccia con la città-inferno, mito e realtà, paesaggi e riti come simboli e metafore e dura concretezza delle cose. Forse non tutta l'opera di Pavese (sia quella del narratore ed anche del poeta, sia quella dell'intellettuale che riflette sulla letteratura e sul suo rapporto con la storia, con la politica) ha saputo trasformare il nucleo delle sue fondamentali ambivalenze in fecondo lievito di efficacia creativa e di energica chiarezza di pensiero; ma di sicuro Pavese non può essere relegato nell'ambito di un decadentismo velleitario, anzi possiamo affermare che da quel nodo contraddittorio di cui abbiamo detto sono venute cose che leggiamo oggi e sentiamo come assolutamente non superate.
Consideriamo, per esempio, Pavese poeta. Il suo esordio avviene nel '36 con le poesie di Lavorare stanca. Egli cercava la prosa della quotidianità e gli urgevano dentro le ombre della solitudine, di un silenzio abulico e frustrante: ne venne una poesia dalle cadenze inconfondibili, una voce allora originale rispetto al coro ermetico e che oggi sentiamo come un tassello importante nel panorama del linguaggio poetico italiano del Novecento. C'è poi, non superato, l'interesse di Pavese per il mito, per le ancestrali strutture psicologiche che sono al fondo del nostro agire.
Qui i Dialoghi con Leucò conservano un fascino che va al di là del merito, pure importante, che occorre riconoscere a Pavese come anticipatore rispetto a studi che avrebbero avuto grande e importante diffusione da noi più tardi.
E della narrativa, il momento decisamente fondamentale dell'opera pavesiana, come non ricordare - almeno - quale intensità drammatica e quale serietà e autenticità di riflessione sostanzino un romanzo come La casa in collina, nel quale il nodo delle ambivalenze diventa assoluta sostanza dell'ispirazione? È il romanzo della tragedia che insanguinò l'Italia fra '43 e '45, spoglio di retorica proprio per la lucida consapevolezza che il protagonista ha delle sue contraddizioni e, a specchio di esse, delle contraddizioni della storia. Sono queste che, nel finale, gli suggeriscono quella riflessione – poeticamente viva e storicamente illuminante - che oggi non posiamo non condividere: «Ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini... ci si sente umiliati perché si capisce - si tocca con gli occhi - che al posto del morto potremmo essere noi... Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione».

Giulio Galetto




    Un festival lo ricorda alla luce dei fuochi di falò


Davide Lajolo, nell'introduzione alla biografia di Pavese che si intitola, con un'espressione tratta da una poesia di Pavese stesso, Il vizio assurdo (ricorre il cinquantenario di questo libro, uscito nel 1960 e divenuto celebre, quasi un viatico indispensabile alla lettura dell'opera pavesiana), racconta che, nell'estate del '45, passeggiando con l'amico Cesare in piazza Statuto a Torino, mentre Cesare osservava che, nonostante il grande caldo, loro due non sudavano perché - diceva - «siamo rimasti contadini, il sole trova posto sulla nostra pelle e non ha bisogno di farla luccicare», rispose: «Vedi, tu sei veramente un personaggio singolare, perché sempre ti riconduci alla campagna. I critici che scrivono di te e i posteri che scriveranno, falseranno spesso lo scopo, perché da una parte non riusciranno a capire come tu sia diventato tanto cittadino, e dall'altra non sapranno che non soltanto nei libri sei spesso a Santo Stefano Belbo, ma vi sei sempre, ogni giorno della tua vita». Probabilmente Lajolo coglieva nel segno in questa immagine di Pavese come uomo e scrittore che ha dentro di sé il paese natale, Santo Stefano Belbo, e il suo paesaggio di colline, quasi una radice inesausta, fonte di ogni germoglio bello e amaro, necessario e doloroso,che sboccia così sul piano esistenziale come su quello letterario.
E adesso, a sessant'anni dalla morte (da quella morte che lo scrittore quarantaduenne si diede ingoiando il contenuto di sedici bustine di sonnifero nella solitudine di una stanza d'albergo, a Torino, la notte del 27 agosto 1950 dopo aver vergato, sulla prima pagina di una copia dei Dialoghi con Leucò, queste parole: «Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi»), il comune di Santo Stefano Belbo e la Fondazione Cesare Pavese hanno organizzato un'edizione particolare (la decima) del Pavese Festival: le colline raccontate dall'autore della Luna e i falò sono state idealmente unite, in questo mese, dal fuoco dei falò secondo un progetto di rievocazione culturale cui hanno lavorato, oltre a Santo Stefano Belbo, molti altri centri della Comunità delle Colline tra Langa e Monferrato. Su questo sfondo altri eventi ricordano Pavese, in particolare letture dei suoi racconti e dei suoi romanzi, a testimonianza della vitalità che, pur nel mutare dei tempi, conserva l'opera letteraria nei luoghi che l'hanno vista nascere e che, fra realismo e trasfigurazione mitica, ne sono stati al centro.

G.G.




Martedì 24 Agosto 2010 CULTURA, pagina 31



Cesare Pavese non fu fortunato in amore. Quattro sono le donne importanti nella sua vita: Milly, la ballerina seguita e osservata senza mai osare avvicinarla; Tina, per la quale finirà al confino; la giovanissima Fernanda Pivano; e l’ultima tragica fiamma, Connie, l’attrice americana.

MILLY. A Carolina Francesca Giuseppina Mignone, Pavese nel ’27 scrisse un’appassionata lettera
TINA. Tra queste bagnanti c’è Battistina Pizzardo, con cui Pavese intrecciò una travagliata relazione
FERNANDA. A Fernanda Pivano Pavese dedicò tre affettuose poesie: Mattino, Estate e Notturno
CONNIE. Per Constance Dowling, attrice americana, s’uccide; le dedica Verrà la morte e avrà i tuoi occhi







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pascale61



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 21:11    Oggetto: Rispondi citando


Grazie per questi notizie Guiliana. Wink
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CLAUDIA65



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MessaggioInviato: Mer Ago 25, 2010 23:34    Oggetto: Rispondi citando


Grazie per le ultime news. In bocca al lupo Ale e........bentornato in Piemonte Laughing
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pascale61



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MessaggioInviato: Gio Ago 26, 2010 12:13    Oggetto: Rispondi citando


Buona fortuna ad Alessandro per la sua lettura avrò amato essere là!!!!!
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anticlaudia



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MessaggioInviato: Gio Ago 26, 2010 12:15    Oggetto: Rispondi citando


BUONA FORTUNA,ALESSANDRO...SARAI COME AL SOLITO ECCEZIONALE! Very Happy ...NESSUNO RIUSCIRA' AD ANDARLO A VEDERE DEL FORUM???????
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ALE IO CREDO IN TE

...<Gli angeli vengono se tu li preghi,e quando arrivano ti guardano,ti sorridono e se ne vanno....per lasciarti un sogno lungo una notte ma che vale una vita...vivilo a fondo perchè lui non torna più!>...(T.F.)

Antonella
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