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storia,tradizioni e cucina della sardegna
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claudia76



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 14:23    Oggetto: Rispondi citando


POZZI SACRI

La religione delle genti nuragiche si esplica nei luoghi di culto nei quali alla specificità delle forme dei templi si sposa la ricchezza degli ex-voti. Prevale il culto dell'acqua (e dell'essere misterioso che vi si sarebbe racchiuso, secondo il canone delle credenze naturalistiche e animistiche del tempo), nei pozzi sacri.


Il pozzo è un tempio a ipogeo come testimonia il ritrovamento di alcuni bronzetti raffiguranti la potente dea Madre. La forma del sacello è quella di un pozzo, più o meno profondo, coperto a cupola e preceduto da un atrio rettangolare o (raramente) da un'esedra rotonda per il rito e l'esposizione delle offerte votive e di addobbi simbolici.



La struttura a tholos rivela un vero e proprio nuraghe sotterraneo, dimora della divinità. La scalinata è l’accesso arcano; il passaggio dalla luce all’ombra è progressivo e accompagna le tappe della trasformazione di chi si avvicina al sovrannaturale, forse dopo l’incubazione, sonno premonitore del luogo sacro che predispone al contatto con la divinità, o per essere sottoposto al giudizio dell’acqua, un’arcaica forma di ordalia.

Ipotesi suggestiva, probabile, ma il pozzo di S. Cristina non svela tutti i suoi misteri e allude anche ad altre possibili funzioni. E’ casuale il fatto che il sole, negli equinozi di primavera e autunno illumini la scalinata fino a far risplendere l’acqua del fondo.

I templi a pozzo più remoti (secoli XIV-XIII), sono costruiti alla moda dei nuraghi, con pietre appena sbozzate e partiture disadorne. Raffinate le strutture dei pozzi del periodo successivo(XII-XI a.C.), in pietre squadrate, cupole perfette, facciate scolpite con disegni geometrici e teste bovine in rilievo (alludenti alla divinità), talvolta dipinte.



Questi edifici facevano capo a grandi santuari - luoghi anche di ludi sacri e di mercato, nonché di incontri dei capi per atti di pace- ai quali offriva ricchezza col tesoro del tempio e il corso di mezzi di istituzioni pubbliche e le offerte dei pellegrini. Questi santuari avevano inoltre il ruolo di guida morale e di indirizzo politico in forma oracolare.




Altro edificio di culto è quello del tipo a megaron, di pianta rettangolare doppiamente in antis, con singolo, duplice e triplice vano con tetto a spiovente, fornito di banchine e focolari. I risconti formali si hanno con i megaron di abitazione di Troia, Micene, Tirinto e Pilo del Miceneo III b, secolo XIII a.C., periodo di tempo più o meno estensibile ai tempietti situati nelle zone interne della Sardegna.







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claudia76



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 14:25    Oggetto: Rispondi citando


POZZO SACRO SA TESTA - OLBIA


Il tempio a pozzo Sa Testa si presenta in buone condizioni di conservazione ed è databile ai secoli finali del II millennio a.C. Anteposto al tempio vero e proprio si trova un grande cortile circolare (del diametro di 8,30 m.) delimitato da un muro e caratterizzato dal pavimento lastricato e da una canaletta di scolo delle acque che lo attraversa per intero. Questo cortile, sicuramente utilizzato per funzioni cerimoniali, introduceva al vestibolo del pozzo, che presenta delle panche lungo le pareti e che dava accesso al vano scalare dal quale si discendeva alla camera. La scala, uno degli elementi canonici di questo tipo di santuario, si compone in questo caso di 17 gradini. Nella camera del pozzo, che è coperta da una tholos (pseudocupola) si trova la sorgente, tutt'ora attiva.
L'intera struttura ha una lunghezza di 17,17 m., mentre la camera è alta 6,81 m.
Il monumento è stato scavato per la prima volta nel 1938, ma di questi primi scavi non si hanno molte notizie; successivamente, nel 1969, fu sottoposto ad un intervento di restauro, durante il quale si rinvennero materiali databili complessivamente tra l'età nuragica e quella romana. I reperti, principalmente oggetti votivi deposti nel santuario dai fedeli, mostrano che il luogo sacro nuragico continuò ad essere frequentato intensamente sia in età punica che in età romana.


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claudia76



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 14:28    Oggetto: Rispondi citando


Cannonau

Il Cannonau (altrimenti detto Cannonao, Cannonadu o Canonau) è il vitigno a bacca nera più diffuso in Sardegna.

La coltivazione di questo vitigno è diffusa in tutta l'isola ma concentrata nelle zone più centrali del territorio. Non se ne conosce con certezza l'origine e anche se la maggior parte degli esperti è concorde nel ritenerlo importato dalla penisola iberica recenti studi hanno dimostrato la sua endemicità. Resti di vinaccioli risalenti a 3200 anni fa sono stati infatti ritrovati in diverse zone dell'isola, facendo del Cannonau il probabile vino più antico del Mediterraneo
Abbinamenti gastronomici
Rappresenta il vino rosso più indicato per gli abbinamenti con i piatti di carne tipici della cucina sarda (porchetto, agnello e capretto arrosto) e con i formaggi stagionati.
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claudia76



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 14:31    Oggetto: Rispondi citando



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claudia76



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 14:32    Oggetto: Rispondi citando



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claudia76



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 14:34    Oggetto: Rispondi citando


Selezione di uve Cannonau della zona di Jerzu.



QUALIFICAZIONE

Cannonau di Sardegna rosso D.o.c. riserva



ASPETTO

Colore rosso granata intenso, buona fluidità e consistenza


PROFUMO

Bouquet di mora matura e mandorle tostate, con note di cannella, vaniglia.



SAPORE

Caldo, speziato, piacevolmente tannico



ALCOLICITÀ

13,5% Vol.



ACCOSTAMENTI

Si accompagna ad arrosti di carne, selvaggina, brasati e formaggi stagionati.



TEMPERATURA DI SERVIZIO

16 - 18°C.

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sarah72andrea



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 18:30    Oggetto: Rispondi citando


MA QUANTO PANE!!! Shocked Shocked Shocked

SONO INGRASSATA SOLO AGUARDARLO Very Happy Very Happy Very Happy Very Happy

TI ABBRACCIO CLAUDIA E GRAZIE X LE SPLENDIDE IMMAGINI...

SARAH

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GLI AMICI SONO QUELLE RARE PERSONE CHE TI CHIEDONO COME STAI E POI ASCOLTANO PERSINO LA RISPOSTA...
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claudia76



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 20:16    Oggetto: Rispondi citando


il pane 'e gerda è troppo buono...............
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Sedilesina



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MessaggioInviato: Mar Ago 12, 2008 21:38    Oggetto: Rispondi citando


Ciao a tutte!
Bell'idea Claudia,quella di far conoscere la nostra bellissima isola.
E ora capirete l'origine del mio nick.
Questo è il mio paese e le sue tradizioni.


"C'era una volta ..., inizia così il racconto di ogni favola, di ogni storia, che più che nascere da fatti realmente accaduti, trae spunto da racconti di epiche gesta, che pur non sostenuti da documenti o da rigorose testimonianze storiche tali da renderli credibili, vengono alimentati dalla fantasia della gente e tramandati di bocca in bocca, diventando, nell'immaginario comune, leggenda. Così, a mezza strada tra il sacro ed il profano, nascono le sagre, quali autentiche feste di popolo, che vuole credere e ricordare i protagonisti di quelle gesta, attribuendo loro capacità sovrannaturali e magari, investiture divine mai avvenute.
Anche in Sardegna vi sono tante di queste rievocazioni. Una però, è particolarmente amata dai Sardi.



Siamo a Sedilo, un villaggio di 3000 anime della provincia di Oristano, nella Sardegna centro orientale. Sorge a 288 metri di altitudine, sull'ultimo lembo del vasto altopiano che va dalle pendici del Marghine al fiume Tirso. A nord del paese è ancora visibile un bastione megalitico chiamato "Nurake". Con molta probabilità qui, esisteva un vero e proprio villaggio nuragico, databile intorno al 3500 a.C. Nel paese l'attività prevalente, ancora oggi, è la pastorizia.


Sedilo è facilmente raggiungibile, in macchina, percorrendo la diramazione Abbasanta - Nuoro della superstrada 131; a pochi chilometri da Abbasanta c'è l'uscita per Sedilo.
In questo paese si svolge non la più importante, ma certamente la più amata sagra dell'isola: L' Ardia di San Costantino.
Il nome Ardia deriva dal verbo del dialetto logudorese "bardiare" (fare la guardia, proteggere, vegliare in armi, girare intorno per fare la guardia).


Tra il 5 e il 7 luglio di ogni anno un centinaio di cavalieri tra i più abili, spericolati e coraggiosi del villaggio partecipano a questa corsa selvaggia, sfrenata. Non lo fanno per denaro o per vincere dei premi, ma per devozione verso un Santo - guerriero che santo non è..., ma è eletto però a quel "rango" dalla gente, conquistata dalle sue gesta di uomo e guerriero coraggioso, pronto a battersi per i diritti dei più deboli. Lo chiamano Santu Antine (San Costantino).







Ed è proprio in suo onore che viene corsa ogni anno L'Ardia di Sedilo, nel ricordo della Battaglia vinta da Costantino il Grande, combattuta nel 312 a Ponte Milvio (Roma) contro le truppe di Massenzio.
La leggenda, arcinota, vuole che prima di incrociare le armi con soldati nemici, a Costantino fosse apparsa nel cielo una croce luminosa con la scritta: In Hoc Signo Vinces (con questo segno vincerai). L'anno successivo Costantino il Grande emanò un editto con il quale accordava ai cristiani la libertà religiosa, ordinando anche la restituzione di tutti beni confiscati alle loro comunità. Questo gli valse il nome di primo imperatore cristiano della storia.
E certo si deve a Costantino l'inizio del processo di cristianizzazione dell'umanità.


Abolì il supplizio della crocifissione, in ricordo della morte di Gesù; la croce, da strumento di morte, diventò simbolo di salvezza; vietò la marchiatura sulla fronte dei deportati; migliorò la condizione degli illegittimi; si occupò dei bambini abbandonati, proibendo ai padri di uccidere o di vendere i propri figli per mancanza di mezzi di sostentamento. Iniziò la liberazione degli individui da tutte le oppressioni, protesse la famiglia, reprimendo il malcostume e ridusse i motivi di divorzio. Nei 25 anni di regno insomma, fu autore di molte riforme; come diremmo oggi, fece interventi nel sociale, di grande spessore.


Si macchiò però di una colpa atroce: fece uccidere la moglie Fausta ed il figlio Prisco, probabilmente perché istigato e ingannato dalla stessa moglie, matrigna del ragazzo. Ma torniamo alla sagra: Non vi sono testimonianze certe che indichino con precisione la data di inizio di questa festa di popolo. Noi preferiamo riferirvi la versione più fantasiosa, certamente lontana dalla verità storica che nessuno conosce, ma proprio per questo più vicina alla leggenda.


Un giorno, si dice, (siamo nel sedicesimo secolo) un ricco proprietario di Scano Montiferro, un paesino non lontano da Sedilo, mentre era intento al lavoro nei campi, venne rapito dai mori (i turchi) che avevano fatto un incursione nelle nostre coste, e portato a Costantinopoli. Lo resero servo e lo fecero lavorare giorno e notte, e quando cadeva esausto, lo costringevano, a bastonate, a riprendere il lavoro interrotto.








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claudia76



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MessaggioInviato: Mer Ago 13, 2008 06:38    Oggetto: Rispondi citando


Jerzu


Jerzu è ormai noto come "la città del vino", infatti esso è famoso in tutta la regione per la qualità del suo vino, il Cannonau, il cui nome deriva dalla particolare specie dell'uva. Il paese sorge a 500 metri s.l.m. sul fianco di una collina che si incunea fra i territori di mare e montagna, circondato dagli imponenti tacchi calcarei di Porcu 'e Ludu e Triscu, cui si affiancano i picchi e i tonneri di Marmillara negli ampi anfiteatri di Gedili e S. Antonio. Jerzu integra la sua economia con un intelligente sviluppo di servizi indirizzati a sviluppare l'afflusso turistico, creando strutture di residenza e di ristorazione, incentivando soprattutto l'agriturismo. Il paese è un'ampia terrazza che guarda il mare al quale si avvicina con le sue propaggini di pianure, nella zona di Pelau, dove sono collocati gli impianti a vigneto del cannonau. La ricchezza archeologica del territorio con i suoi villaggi nuragici e le domus de janas suscita un crescente interesse da parte di studiosi ed esperti. Si possono infatti ammirare circa 30 nuraghi e nel tacco del Monte Corongiu sorge una necropoli punica e una capanna che risalgono allo stesso periodo. Suggestivo a monte del paese è il bosco che ospita la Chiesa di S. Antonio. Oggi Jerzu è centro di studi con i suoi istituti superiori e il liceo più antico della provincia di Nuoro e salvaguarda il proprio patrimonio ambientale e tecnologico con l'istituzione di un Museo Naturalistico ed Ambientale nel centro del paese, a 5 Km. dalla S.S. 125, al passo di Genna 'E Crexia. La tradizione gastronomica tramanda delle specialità particolari come "su pani conciu", pane cotto nel vino, e "is tacculas", i tordi cotti nel mirto.
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claudia76



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MessaggioInviato: Mer Ago 13, 2008 06:56    Oggetto: Rispondi citando


Situato sul fianco di una collina che si incunea fra i territori di mare e montagna, sorge il paese di Jerzu, antico borgo agricolo.


A cinquecento metri sul livello del mare, l'abitato appare contornato dagli imponenti tacchi calcarei di PORCU 'E LUDU e di TROISCU cui si affiancano i picchi e i tonneri di MAMMILLARA negli ampi anfiteatri di CEDlLI e S. ANTONIO.
Il magnifico torrione di CORONGIU, che ha rivelato tracce di insediamenti punici e romani, domina lo scenario montano, proiettandone l'orizzonte verso l'interno dell'isola.

Il paese e un'ampia terrazza che guarda il mare al quale si avvicina con le sue propaggini di pianure, nella zona del PELAU, dove si collocano i famosi impianti a vigneto del CANNONAU di Jerzu.

La ricchezza archeologica del territorio con i suoi villaggi nuragici e le domus de janas suscita crescente interesse da parte degli studiosi ed esperti.

L'antico nome di Jerzu (o Jersu) compare in un atto notarile del 1130, in cui si parla di una donazione di vigne. L'attuale assimilazione del paese di Jerzu al paese delle vigne e del vino trova una datazione accertata e il fondamento della verità storica.


Altri documenti antichissimi e, più recenti accompagnano la storia della comunità intrecciata alla evoluzione della coltivazione della vite e alla produzione del CANNONAU, che e diventato uno dei più prestigiosi vini Rossi.

La costruzione di chiese nei luoghi della produzione (la chiesa della MADONNA DELLE GRAZIE A PELAU) testimonia di un legame inscindibile e sacro fra abitanti e GLI ANTICHI PODERI in ciascuno dei quali si è svolta gran parte della vicenda familiare dei nuclei jerzesi
tachi calcarei
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claudia76



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MessaggioInviato: Mer Ago 13, 2008 07:06    Oggetto: Rispondi citando


Ingredienti
8 tordi o merli
rami di mirto fresco
sale abbondante




Preparazione Si spennano e si bruciacchiano delicatamente gli uccellini senza sventrarli. Si mettono quindi in una pentola con acqua e rametti di mirto. Appena sono cotti si scolano e si cospargono abbondantemente di sale. Infine gli uccellini si compongono a mazzi, infilandoli con la testina in un ramoscello di mirto. Otto uccellini formano la Taccula. Anziché infilarli, possono essere anche sistemati direttamente fra i rami di mirto. Prima di consumarli bisogna lasciare passare qualche ora per assorbire l'aroma.
Note Di questi uccellini si mangia tutto, eccettuati becco e stomaco. In effetti essi si cibano di mirto ed infatti venivano preparati proprio nel periodo in cui il mirto dava il frutto. Da quando è stata vietata l'uccellagione si ripiega sulle quaglie in vendita nei mercati. Superfluo sottolineare che il gusto è notevolmente diverso e le interiora vanno eliminate prima della cottura.

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Sedilesina



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MessaggioInviato: Mer Ago 13, 2008 08:05    Oggetto: Rispondi citando


La leggenda dice che a quell'uomo, dopo una prima apparizione, apparve per la seconda volta San Costantino e gli disse: "Io ti libero perché voglio che tu mi faccia costruire una chiesa . Prendi questo sacco di denari, vai a Sedilo e falla erigere sul monte Isei". Lo scanese ubbidì e fece costruire il santuario; quella chiesetta gotica venne poi ampliata e rifatta, in stile più moderno, nel 1789, come testimoniano le due iscrizioni in lingua spagnola.


Cosa strana, perché gli spagnoli avevano lasciato l'isola prima agli austriaci e poi ai Savoia, 76 anni prima di quella data. Evidentemente gli oltre 400 anni di dominazione spagnola nell'isola, avevano lasciato il segno.
San Costantino è amato profondamente dalla gente. Per onorarlo, ogni anno, tra il 5 e il 7 di luglio, accorrono a Sedilo decine di migliaia di pellegrini da tutta la Sardegna.


Molti arrivano a piedi anche da molto lontano, dopo giorni e notti di cammino attraverso i campi. Le pareti della chiesa sono tappezzate da ex voto. Qui la gente non viene per chiedere un miracolo, ma in segno di gratitudine per una grazia ricevuta, per tener fede ad una promessa fatta. L'Ardia è guidata da un capo corsa (sa prima pandela) ed è un grande onore ottenere questo incarico. Le domande degli aspiranti vengono annotate in un antico registro custodito nella parrocchia; spesso l'attesa è di molti anni.


La nomina viene fatta tenendo conto dell'ordine cronologico delle richieste ma anche delle caratteristiche della persona, che deve aver dato prova di coraggio, di abilità nel cavalcare e di fede. A sa prima pandela spetta il compito di nominare la seconda e la terza bandiera, che sceglie tra i cavalieri più abili. Loro tre infine nominano una scorta, che ha il compito importantissimo di evitare che i cavalieri "nemici" superino sa prima pandela che, nella rievocazione storica, rappresenta il Santo guerriero.


I preparativi sono lunghi e meticolosi: grande importanza si attribuisce alla scelta ed alla preparazione dei cavalli, che dovranno correre tra due ali di folla vociante e centinaia di fucilieri che spareranno con cartucce a salve caricate con polvere nera, quasi a voler impedire alle bestie lanciate al galoppo, di investire la folla che gremirà, senza transenne di alcun genere, ogni angolo di questo brullo pendio che porta al tempio.




Il 29 Giugno i tre capi corsa provano il percorso e distribuiscono le cartucce ai fucilieri scelti da sa prima pandela. Tutto è pronto per la festa, quella pagana e quella religiosa. Si, anche quella religiosa, con tutti i crismi della legalità: il 31 agosto del 1987 il Vescovo di Alghero e Bosa monsignor Giovanni Pes, ha riconosciuto la chiesa di San Costantino come Santuario Diocesano.


Nei santuari, ha detto Giovanni Paolo II, tutte le categorie di persone hanno la gioiosa possibilità di immergersi nella preghiera, non solo liturgica, ma anche in quelle sane forme della pietà popolare, che non di rado manifestano il genio religioso di tutto un popolo, raggiungendo talvolta un impressionante acume teologico, unito ad una straordinaria ispirazione poetica. Per quel tempio significa la consacrazione, per Santu Antine, agli occhi della gente, una sorta di promozione sul campo.


I sacerdoti delle chiese vicine accorrono a dare man forte per accogliere i fedeli, decine e decine di venditori ambulanti espongono le loro merci. Nell'aria si sente il profumo delle salsicce, dei maialetti, della carne di capra arrostiti nei numerosi bivacchi da pellegrini e commercianti.




Se gli passi vicino ti offrono da mangiare ed un bicchiere di Cannonau, uno straordinario vino nero di non meno di 16 gradi, che quando lo bevi lava la bocca dal grasso dell'arrosto e ti scalda le orecchie. Se gli dai retta, finisci con "su filu e ferru", un' acquavite fatta in casa che raramente ha meno di 50 gradi. E questo è un buon sistema per garantirsi almeno 8 ore di sonno senza sonnifero.
Tutto è pronto, è il pomeriggio del 6 luglio: sa prima pandela oggi, è la persona più importante. A casa sua aspetta l'arrivo dei due aiutanti e della scorta. Insieme, a cavallo, si recheranno davanti alla casa parrocchiale dove si sono riuniti un centinaio di baldi e focosi giovani a cavallo. A sa prima pandela, dopo averlo benedetto, il parroco affida lo stendardo di broccato giallo "Sa pandela de Santu Antine" la bandiera di San Costantino, il secondo riceve una bandiera bianca ed il terzo una rossa.




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Sedilesina



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MessaggioInviato: Mer Ago 13, 2008 08:14    Oggetto: Rispondi citando


Anche agli uomini della scorta vengono affidate le bandiere che in totale sono nove. Il parroco a cavallo, con il sindaco, si mettono alla testa del gruppo e percorrono le vie del paese verso il santuario. Subito dietro, il capo corsa con lo stendardo del santo, seguito dalla seconda, dalla terza bandiera e dagli uomini della scorta che difendono sa prima pandela, dai giovani cavalieri che cercheranno di superarla.


Per loro sarebbe un atto di grande valore o "balentia", come si dice in questa zona, riuscire in questa impresa, per sa prima pandela una sconfitta, un onta inaccettabile. In questa fase più che lo spirito religioso, prevale l'animo del guerriero che si risveglia. Si dirigono all'uscita del paese, il passaggio del corteo viene annunciato alla gente dagli spari dei fucilieri: ormai più di 50 mila persone si trovano lungo il percorso, nell'anfiteatro, ai piedi del santuario.


Con l'eco degli spari che si avvicina, cresce la tensione della folla. All'uscita del paese c'è su fronti mannu, la prima tappa: davanti ad una croce in pietra con la scritta "in hoc signo vinces", la processione si ferma per qualche minuto di preghiera; da qui si vede in lontananza il santuario.


Il corteo avanza lentamente, fino a su frontigheddu, una collinetta che sovrasta il tempio. Qui il parroco impartisce la benedizione ai cavalieri, raccomanda loro di correre con spirito religioso e scende accompagnato dal sindaco, verso le gradinate dell'anfiteatro. I cavalieri riescono a dominare a stento la propria impazienza e trasmettono la tensione ai cavalli.
Dovrebbe essere il Parroco a dare il via, ma quasi sempre la corsa scatta nel momento meno prevedibile.


E' sa prima pandela a scegliere l'attimo più propizio e quando decide, si getta giù da questa collina a briglia sciolta. E' il momento più pericoloso, la velocità è folle, la strettoia dell'ingresso posta sotto l'Arco di Costantino è sempre più vicina; la sua scorta lo protegge dall'irruenza di cento cavalieri che lanciati al galoppo tra le scariche di fucileria e una nuvola di polvere si gettano al suo inseguimento.




I fucilieri continuano a sparare, l'eccitazione della folla è allo spasimo; i cavalli sfiorano le persone in prima fila che per nulla rinuncerebbero a quello spettacolo ed a quelle emozioni. Cavalli imbizzarriti, qualche volta, finiscono in mezzo agli spettatori, ma nessuno se ne preoccupa, anche questo fa parte del rituale, almeno di quello pagano di questa corsa che risveglia istinti primordiali.


Nell'aria, nuvole di terriccio sollevate dagli zoccoli dei cavalli, l'odore acre di polvere nera delle migliaia di cartucce caricate a salve, il caldo rovente del sole di luglio, l'eccitazione ed il vociare assordante della folla, fanno parte di uno scenario che riporta forse alle antiche origini di questa sagra.
Al settimo giro non completo i cavalieri scendono in una piazzetta sottostante, sino a sa muredda; un terrapieno con al centro una croce.


Sei giri intorno, tre in un senso e tre nell'altro, poi la corsa riprende al galoppo verso la chiesa. Il manto bruno dei cavalli è intriso di sudore e di polvere, nei loro fianchi si vedono i solchi sanguinanti lasciati dagli speroni.


Come primo atto, consegnano le bandiere e lo stendardo in broccato giallo di Santu Antine, al parroco, che li ripone in una antica cassa di legno, per riconsegnarli il prossimo anno ad altri giovani che un po' per fede, un po' per "balentia" difenderanno questo stendardo dagli attacchi degli " infedeli" e Massenzio sarà sconfitto ancora una volta.
I cavalieri abbassano gli stendardi, assistono alla funzione religiosa, poi tornano in paese.


Piantando gli speroni nella carne viva dei cavalli, cercano di precederlo all'ingresso dell'arco: Fallire vorrebbe dire forse anche finire in piena velocità contro le colonne in pietra e rischiare di morire, come è accaduto molte volte in passato.
Solo pochi, ma interminabili secondi, poi sa prima pandela sfreccia sotto quell'arco e si infila nel sentiero che porta al tempio. I cavalieri, sempre al galoppo, compiono sei giri intorno al santuario.
S'Ardia è finita, ma rivivrà, ancora per mesi, nei racconti della gente che ricorderanno del coraggio e dell'abilità di quei giovani, mentre i più anziani parleranno ancora dei miracoli di questo santo guerriero. Nella seconda domenica successiva al sette luglio si corre l' Ardia a piedi, alla quale parteciperà tutto il paese.
Questi sono i colori poco conosciuti della Sardegna, diversi dai celebratissimi smeraldo, blu e turchese del suo mare, ma probabilmente i più belli, certo i più caldi, i più emozionanti.



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Sedilesina



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MessaggioInviato: Mer Ago 13, 2008 08:18    Oggetto: Rispondi citando


E ora un invito:
per gustare meglio e capire l'emozione,la devozione al santo e la vera anima dei Sardi,guardate questo filmato:

http://www.sardi.it/sardegna/ardiav.htm

Buona visione!! Wink
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