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Tratto dal forum di Elisa di Rivombrosa..."Sono Alessandro Preziosi e ho scelto di venirci incontro attraverso la rete perchè credo fortemente nella nostra generazione, capace di ragionare e migliorare la pseudo-realtà che chi ci controlla ha creato per noi: pensando che saremo rimasti alla partenza senza sentire il colpo di pistola.
Quindi eccomi a voi, con la precisa intenzione di sensibilizzarvi a un mondo più vivo, più maturo e più denso di quello che abbiamo immaginato - I MALATI DI LEUCEMIA.
Nel nostro percorso milioni sono le finestre che si aprono sul dolore altrui e impossibile sarebbe pensare di aiutare tutti ma se la rete, non serve soprattutto a questo, oggi passeremo alla storia come una generazione di "coglioni"; il guadagno, il danaro che gravita attorno alla nostra ingenuità mediatica (internet) ha mortificato lo spirito con il quale giocate attraverso la rete. Primaria e necessaria conseguenza dimostrare che siamo in grado di far circolare la nostra presenza nell'interesse e nell'aiuto del prossimo indipendentemente dai luoghi comuni cattolico politico e sociali.
Dalla prossima settimana spero che sarà attivato il sito www.alessandropreziosi.tv, il cui unico scopo è quello di incontrarci sotto il comune denominatore del rispetto della vita altrui e in nome di un sano amor proprio. Miglioriamoci..." "...Ricordo da piccolo quando nello studio di mio padre – avvocato – cercavo di raccontare i miei pensieri con una rumorosissima macchina da scrivere; riuscivo a scrivere molto poco ma scoprivo la straordinaria possibilità di poter concentrare in poche parole una quantità di pensieri e di concetti incredibile.
Scrivevo dell’anima, di che valore avesse per me questa parola, ma soprattutto cercavo di mettere in rapporto Lei con il mondo esterno: parole parole parole...
Negli anni a seguire ho drasticamente rinunciato a descrivere attraverso le parole le mie emozioni, ma soprattutto le mie sensazioni, perché relegato insieme al mio mondo... un mondo molto astratto, ma allo stesso tempo, questa rinuncia mi permetteva di entrare nel vero senso e nella vera misura delle parole.
Amore, odio, amicizia, lavoro, vita, tutte cose sulle quali mi sono posto mille domande, forse perché non avevo nient’altro da fare?
Forse perché credevo di diventare il “sarto” dei miei pensieri, o forse perché sapevo che un giorno l’avrei raccontato a voi?
Comunque, grazie a questa dispersiva ricerca, sono riuscito a centrare una serie di risposte intorno ai mille colori che ritmano una giornata, mi sono trovato ad improvvisare continui questionari su ciò che noi distrattamente definiamo “strano”, su ciò che noi definiamo diverso, particolare, carino, riducendo la nostra capacità di giudizio a parole chiave che non aprono nessuna porta.
Vi racconto una storia: ero in mezzo al mare su un gommone e questo improvvisamente sotto la calura del sole cominciò ad apparire sempre più sgonfio, quasi stesse sciogliendosi; andammo alla ricerca di una valvola... Sì, quelle valvole che svitandole e riavvitandole ti permettono di dare una forma al tuo giocattolo e tutti i presenti sul gommone cominciarono a dire: “Che strano che……. Certo che strano! Non mi è mai capitata una cosa così strana!”
Bè, in mezzo a queste uscite senza senso, finimmo in un mare di stranezze, quella più eclatante fu di trovarsi tutti con il sedere in acqua! Ah, dimenticavo il titolo di questa storia: “la stranezza come valvola di sicurezza”.
Era il 1998, avevo ventiquattro anni, lavoravo in uno studio legale e non avevo la più pallida idea, guardandomi dentro, di come fossi arrivato fino a li e continuavo a ripetermi parole imprecise, i miei pensieri non avevano un inizio, ma solo una fine annunciata: quella di fare l’avvocato, e così decisi di dar vita alla più semplice e basilare delle riflessioni: essere se stessi, contro tutto e con tutti. Non volevo isolarmi, non volevo andare contro il mondo ma cercare di conoscerlo, di scoprirlo nella sua bellezza: l’Uomo.
Così nello stesso anno fui miracolosamente preso alla Accademia dei Filodrammatici di Milano, e dico miracolosamente perchè fra l’idea di fare l’attore e fare l’attore ci passano tutti gli oceani.
Ho imparato in quei due anni, e siamo arrivati ormai alla fine del 1999, a utilizzare il corpo, la voce, a conoscere le potenzialità, ma soprattutto la forza di certi slanci, di certi istinti fino a quel momento senza nome e senza indirizzo. Prima ancora di terminare l’Accademia fui scritturato, secondo le leggi delle coincidenze, per il ruolo di Laerte nell’ Amleto con Kim Rossi Stuart, per la regia di Antonio Calenda.
Ebbi, in quell’anno e mezzo di tournèe, la dimostrazione di come si potesse velocemente combinare la teoria e la pratica in quella straordinaria magia che è recitare su un palcoscenico: attori di ogni età, inpulsi attoriali di ogni genere, teatri sempre diversi, viaggi che ricucivano quelle che fino a quel momento erano solo sensazioni trasformate ormai in obiettivi da raggiungere, tra tutti comunicare – L’Amore Per La Vita. Come in tutte le favole arriva il cattivo, vestito d’oro, un oro fatto di mille colori, luccicante, anche e soprattutto di notte, quasi una droga per le nuove generazioni "la televisione" .
Anno 1999/2000: vengo assunto, notare la differenza tra “assunzione” e “scrittura” (è come tra il bianco e il crema, non è mai la stessa cosa) per interpretare il ruolo di Pietro Foschi nella soap opera “Vivere”, è chiaro che il teatro e la televisione non sono comparabili tra di loro, e che quest’ultima, non deve essere demonizzata o considerata la pecora nera nella arti, ma certo è che il mio lavoro veniva siglato come prestazione industriale.
Da attore, è stata un’esperienza importante, mille sono state le scoperte su come era possibile recitare, ma un ruolo, per essere fedelmente intepretato, non va vissuto bensì immaginato, ecco quindi che mi ritrovo in quei due anni di Vivere a creare con un’amico, Tommaso Mattei, architetto, sceneggiatore, regista, (un ragazzo di grande sensibilità), a mettere in scena un monologo dal titolo “Le ultime ore di A.I.”; si trattava di capire attraverso questo lavoro teatrale, quale fosse il confine tra la realtà e la finzione, quale ruolo in questo gioco perverso potesse avere la fragilità di un attore chiamato Antonio Iori. Il filo conduttore di questo spettacolo era il concetto di intelligenza artificiale – A.I. – sviluppato attraverso il tentativo di restituire all’attore un'umanità sgretolata, mistificata e confusa dalla messa in scena di uno spettacolo.
Anno 2001: comincia la trilogia di Eschilo per la regia di Antonio Calenda ( Agamennone, ruolo araldo – Coefore ed Eumenidi, ruolo Oreste). La possibilità di riscoprire attraverso testi così lontani valori e ideali sotterrati oggi dalle nostre distrazioni, anche culturali, ha rafforzato in mel’idea di continuare a fare teatro, con la certezza di coinvolgere in questo rinnovato percorso una strada comune.
Inizio 2002: come in Star Trek, vengo teletrasportato nel mondo di Elisa di Rivombrosa, anche se l’incontro con questa fiction rispecchiava il senso delle coincidenze che di li a poco avrei gradualmente scoperto. Ero al Teatro Argentina di Roma impegnato nell’Agamennone di Eschilo, e tornato in camerino dopo la mia ultima uscita, trovo il soggeto di Elisa di Rivombrosa; si parlava di un soldato tornato dalla guerra dopo dieci anni che aveva le stesse caratteristiche del personaggio poi tanto amato da voi. Continua… |
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