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giada

Registrato: 10/05/04 21:17 Messaggi: 626 Residenza: milano
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Inviato: Ven Mar 10, 2006 14:15 Oggetto: |
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LA MIMOSA
In un paese lontano, all'altro capo del mondo, nell'isola di Tasmania, ed in un tempo altrettanto lontano, nacque il fiore della mimosa.
Gli abitanti dell'isola ne raccontano la leggenda.
In quel tempo, l'isola era dominata da un re guerriero, molto coraggioso e bello, alto ed agile, di pelle scura e coi capelli neri e lucenti come l'ala dei corvi, ma col cuore indurito dalle numerose battaglie. Così era tutta la sua gente: alta, scura di pelle e brusca di modi, con lunghi, lisci capelli a incorniciare il viso severo. Essi amavano i combattimenti contro le numerose tribù nemiche, e le cacce pericolose alle belve che infestavano l'isola. Combattimenti e cacce che affrontavano con altre grida crudeli, per spaventare il nemico.
Un giorno, durante l'ennesimo combattimento, il re venne gravemente ferito.
La madre e la sorella del re amavamo molto il loro caro, ma non amavano affatto la sua bella e giovane moglie, che non giungeva gradita al loro cuore, duro quanto quello di lui. La giovane regina era una creatura del tutto diversa, piccola di statura, timida e gentile, con i capelli arruffati in corti riccioli, biondi come batuffoli d'oro, la pelle dorata come miele puro e una bassa voce soave che sembrava una musica.
Pareva giunta lì da un altro mondo, la piccola regina, da un mondo di fiori, di sorrisi e di pace. Le due donne, scarne, scure e crudeli come il loro congiunto regale, erano inevitabilmente gelose della dolce, tenera bellezza di lei.
Approfittando della timidezza della piccola sposa, le due donne si precipitarono a curare il loro congiunto, trattenendo con vari pretesti la moglie lontana dalla tenda dove giaceva il ferito. Lei si disperava, perché era molto innamorata di quel suo marito rude e forte, ma non osava far valere i propri diritti di moglie, dimentica, nel suo sgomento, che erano anche doveri, temendo di far cosa sgradita alla suocera ed alla cognata, e quindi di turbare la convalescenza dell'uomo che amava.
La piccola regina era sola, nessuno la consigliava, perché i cortigiani, con la viltà dei deboli, si erano schierati dalla parte che intuivano più forte, e crudele, in quella lotta silenziosa per impadronirsi del cuore del Re.
Passarono i giorni, che divennero settimane, e poi mesi. Quando infine il Re fu guarito era ormai solo desideroso di punire la piccola regina le cui visite aveva tanto aspettato, senza che il suo orgoglio di re gli avesse permesso di ordinare la presenza della donna che nel suo cuore invocava. E dunque il Re bandì dal suo cospetto, senza esitazione, la giovane moglie innocente, senza nemmeno volerne ascoltare le ragioni, tanto il solo vederla, ormai, gli riusciva sgradito.
Giunse infine il fratello a riprendersela, il fratello, della stessa impietosa razza del Re.
Venne per riportarla a casa, ripudiata, libera, lei che era cinque volte madre, di darsi ad un altro uomo.
Ed in soli sette giorni il fratello la rimaritò ad un Principe di luoghi lontani, distanti dal regno dal quale la piccola regina era stata senza colpa bandita.
Pure, timida e dolce com'era, la piccola, infelice Azar, ormai senza più lacrime né desideri, non si ribellò al suo destino. Chiese soltanto, come dono di nozze, un velo che le consentisse, nel lungo viaggio per raggiungere la sua nuova dimora, di coprirsi il volto ed il corpo, per non essere riconosciuta quando fosse passata dalle terre di Asan, padre dei suoi figli e crudele signore, poiché l'incontro coi suoi piccoli le avrebbe senza alcun dubbio spezzato il cuore.
Il Principe suo nuovo sposo era meno duro di cuore di Asan, e in qualche modo la disarmata dolcezza della piccola regina scacciata dal suo regno ebbe a parlare al suo cuore. La giovane ebbe dunque il suo velo, col quale si ricoprì interamente. Ma quando passò davanti alla reggia che era stata sua, i figli di lei, che ogni giorno spiavano dall'alto delle torri il ritorno della madre, la riconobbero nonostante il lungo velo ed accorsero piangendo e invocando a gran voce il suo ritorno.
Ancora una volta, Azar fece appello alla pietà del suo nuovo Signore, chiedendo che le fosse consentito fermarsi un momento, e lasciare un dono a ciascuno dei figli. Ed il Principe ebbe ancora una volta pietà della piccola sposa disperata, e acconsentì alla richiesta. Così, Azar poté regalare ai suoi bambini stivali trapunti d'oro, e lunghe, ricche vesti alle fanciulle, e lascio un abitino per il più piccolo, che dormiva ignaro nella culla. Il padre però, da lontano, vide tutto questo, e richiamò a sé i figlioli, che dimenticassero in fretta la madre indegna di loro.
Azar sentì quella voce dura dettare ancora una volta il suo destino, e ancora non seppe trovare parole a difesa della sua inutile innocenza. Si accasciò allora, ormai sfinita dall'ingiustizia e dal dolore, e sopra di lei il lungo velo di nuova sposa si posò pietoso a coprirla da tutti gli sguardi.
Andò più tardi il suo nuovo Signore a riprendersi l'infelice creatura, deciso a regalarle una vita intera di felicità. Ma ormai il destino di Azar era giunto a compimento.
E fu così che il Principe pietoso, sotto il lungo velo che era stato il suo dono di nozze, non trovò che un fragile arbusto fiorito di mimosa, ben abbarbicato con le sue radici alla terra, deciso a non lasciarsi strappare dal luogo dove era tutto il suo cuore, i piccoli fiori odorosi a ricordare ai figli di Azar i batuffoli biondi che ricoprivano il capo della loro madre, al tempo in cui era stata felice.
Ad Azar, così dolce, remissiva, obbediente e infelice, il tempo renderà poi giustizia alla sua bizzarra maniera:-_- perché il fiore nato da lei verrà riconosciuto da tutte le donne come il simbolo della propria presa di coscienza, e della capacità di decidere esse stesse il proprio destino.
Apparentemente delicato, in realtà forte e resistente, impossibile da sradicare, contro il suo volere. -_-
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mari27

Registrato: 17/06/04 17:49 Messaggi: 6094
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Inviato: Dom Mar 12, 2006 19:27 Oggetto: |
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-Prima di nascere -
"Prima di nascere, mamma, dov'ero?"
" Tu eri già dentro ogni mio pensiero, dentro i miei sogni
di felicità nei pensieri di mamma e papà!"
"Dai mamma, adesso non m'imbrogliare lo sai di che
cosa volevo parlare!
Prima di nascre stavo benone,
sicuro e comodo nel tuo pancione!"
Dentro il pancione sono al sicuro,
non ho paura anche se è scuro.
Nuoto nell'acqua senza rumore
ascolto il dolce tun tun del tuo cuore.
Mi ciuccio il dito per un momento
se sono stanco così mi addormento
che gran giorno, che emozione,
sono uscito dal pancione!
Proprio adesso sono nato
la mia mamma mi ha abbracciato
mi ha tenuto stretto stretto
al calduccio sul suo petto.
Non so ancora come sia:
so che lei è la mamma mia.
( omaggio a Gianni Rodari - I° circolo di Conegliano - TV )
***
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giada

Registrato: 10/05/04 21:17 Messaggi: 626 Residenza: milano
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Inviato: Gio Mar 16, 2006 22:10 Oggetto: |
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tratta dal libro "The magus" del novellista inglese John Fowles, e vuole essere una metafora sulla necessità dell'impegno e della consapevolezza perché l'uomo possa raggiungere la propria maturità.
E come in una fiaba:
"C'era una volta un giovane principe che credeva in tutte le cose tranne che in tre: non credeva nelle principesse, non credeva nelle isole e non credeva in Dio.
Il re suo padre gli aveva detto che queste cose non esistevano e, siccome nel regno paterno non vi era traccia né di principesse, né di isole e né tantomeno di Dio, il principe credeva a quanto detto dal genitore.
Ma un bel giorno, il principe lasciò il palazzo reale e giunse nel paese vicino: qui, con sua gran meraviglia, da ogni punto della costa vide delle isole e su queste attraenti e regali fanciulle.
Si mise subito alla ricerca di un'imbarcazione, quando lungo la spiaggia gli si avvicinò un uomo elegantemente vestito in abito da sera.
Il giovane principe gli domandò, allora, se quelle fossero isole con sopra autentiche principesse e, alla risposta affermativa, gli chiese se ci fosse nelle vicinanze anche Dio.
Rimase sbalordito quando il distinto signore gli rivelò, con un inchino, che Dio era proprio lui.
Il giovane principe, allora, tornò a casa e si recò dal padre per comunicargli, con un certo tono di rimprovero, che aveva visto le isole, le principesse ed addirittura Dio.
Il re rimase impassibile e gli chiese le caratteristiche del signore che aveva incontrato sulla spiaggia.
Quando seppe che, tra l'altro, portava le maniche rimboccate, sorrise e disse al figlio che quella era la caratteristica dei maghi e che quindi era stato ingannato.
A questo punto il principe ritornò nel paese vicino e si recò nella stessa spiaggia della prima volta, incontrando di nuovo l'uomo in abito da sera.
L'apostrofò con rabbia per le bugie che gli aveva detto, riportandogli le parole del re suo padre.
L'uomo della spiaggia sorrise e gli confermò che era un mago, confidandogli, però, che anche suo padre era un mago e lo teneva sotto un incantesimo che gli impediva di vedere la verità delle cose.
Il principe ritornò allora a casa pieno di dubbi e quando incontrò il padre gli chiese, fissandolo negli occhi, se fosse realmente un mago.
Il re sorrise e si rimboccò le maniche.
Di fronte ad una tale situazione di inganni e di incomprensione e, nell'impossibilità di comprendere il senso delle cose, il principe fu preso da una profonda tristezza e decise di uccidersi.
Il re, per magia, fece apparire la morte che invitò il giovane ad andare con lei.
Il principe a quel punto ebbe un brivido e, ricordandosi delle isole belle e forse irreali e delle attraenti e forse inesistenti principesse, cambiò idea e disse alla morte di sparire.
Allora il re suo padre, di fronte a questa scelta, gli comunicò, sorridendo, che stava anche lui diventando un mago; ed il giovane, a quel punto, si rimboccò le maniche".
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PattyRose

Registrato: 16/12/04 18:33 Messaggi: 3916 Residenza: Valle Santa
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Inviato: Dom Mar 19, 2006 17:02 Oggetto: |
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IL PUNTO INTERROGATIVO
C'era una volta un punto
interrogativo, un grande curiosone
con un solo ricciolone,
che faceva domande
a tutte le persone,
e se la risposta
non era quella giusta
sventolava il suo ricciolo
come una frusta.
Agli esami fu messo
in fondo a un problema
così complicato
che nessuno trovò il risultato.
Il poveretto, che
di cuore non era cattivo,
diventò per il rimorso
un punto esclamativo.
Gianni Rodari
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mari27

Registrato: 17/06/04 17:49 Messaggi: 6094
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Inviato: Lun Apr 10, 2006 19:05 Oggetto: |
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- Storia del Re Sole -
Filastrocche di poche parole
dove si parla del Re Sole.
Sulla Francia egli regnò
sessant'anni e ancora un po'.
Nel palazzo di Parigi
stava spesso il gran Luigi.
Se non c'era non si sbaglia:
è un segno che stava invece a
Versaglia.
Stesse qui o stesse là,
in campagna o in città,
stesse in guerra oppure a caccia
non si lavò mai la faccia.
Un batuffolo di cotone
gli faceva da acqua e sapone:
intorno agli occhi e sul nasetto
glielo passava il suo paggetto,
e in baleno era fatta così
la pulizia del Re Louis.
Era il Re Sole, e certo brillava
di luce propria....ma non si lavava
perchè non aveva una mamma o una zia
che ogni mattina, con energia,
gli ficcassero la capoccia
dentro una vasca o sotto una doccia.
( Gianni Rodari)
***
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mari27

Registrato: 17/06/04 17:49 Messaggi: 6094
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Inviato: Sab Apr 15, 2006 20:08 Oggetto: |
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Uccellino venuto dal bosco, che piangendo fuggivi,
cos'hai visto laggiù?
Ho veduto di sotto agli ulivi,
sanguinare Gesù.
Uccellino venuto dal monte, che scappavi veloce,
cos'hai visto lassù?
Ho veduto tre uomini in croce,
ed in mezzo c'era Gesù.
Uccellino venuto dal piano, che cinguetti nel volo,
cos'hai visto laggiù?
Ho veduto dal bianco lenzuolo,
risvegliarsi Gesù.
***
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kikka preziosi

Registrato: 31/10/05 12:14 Messaggi: 587 Residenza: monza
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Inviato: Sab Apr 15, 2006 20:27 Oggetto: |
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mari27 ha scritto: | -Prima di nascere -
"Prima di nascere, mamma, dov'ero?"
" Tu eri già dentro ogni mio pensiero, dentro i miei sogni
di felicità nei pensieri di mamma e papà!"
"Dai mamma, adesso non m'imbrogliare lo sai di che
cosa volevo parlare!
Prima di nascre stavo benone,
sicuro e comodo nel tuo pancione!"
Dentro il pancione sono al sicuro,
non ho paura anche se è scuro.
Nuoto nell'acqua senza rumore
ascolto il dolce tun tun del tuo cuore.
Mi ciuccio il dito per un momento
se sono stanco così mi addormento
che gran giorno, che emozione,
sono uscito dal pancione!
Proprio adesso sono nato
la mia mamma mi ha abbracciato
mi ha tenuto stretto stretto
al calduccio sul suo petto.
Non so ancora come sia:
so che lei è la mamma mia.
( omaggio a Gianni Rodari - I° circolo di Conegliano - TV )
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che bella! mi piace molto! _________________ Ci sono luoghi dove arte e fede si incontrano. Vedrai
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Doni

Registrato: 18/01/06 20:27 Messaggi: 6014 Residenza: Bergamo
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Inviato: Sab Apr 15, 2006 21:08 Oggetto: |
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IL RISO
DI UN BAMBINO
Il vento disse un giorno;
"voglio girare il mondo
per quanto è grande e tondo.
Chissà quando ritorno!"
Lesto volò sui mari
s'inerpicò sui monti
giocò coi passi pronti
sui prati e fiumi chiari.
Tra i boschi s'ingolfò,
vide città e paesi
e dopo molti mesi
a casa sua tornò.
Qualcuno chiese allora:
"che cosa più ti piacque
sopra le terre e l'acque
e più ricordi ancora?"
"IL riso del bambino"
a lui rispose il vento,
"che squillava contento
come un campanellino"
Giuseppe Fanciulli
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mari79

Registrato: 05/03/05 10:45 Messaggi: 4705
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Inviato: Mer Apr 19, 2006 22:03 Oggetto: |
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Fiabe d'Esopo
La colomba e la formica
Un giorno una formica stanca e sfinita dal molto lavoro, decise di andarsi ad abbeverare al ruscello.
Si sporse troppo e cadde in acqua.
La corrente la trascinò via ,e la formica con quante forze aveva cercava di restare a galla.
Fortunatamente , quando ormai era sul punto di affogare , la vide una colomba che preso un rametto lo gettò nel ruscello.
Aggrappandosi la formichina riuscì a salvarsi.
Passò qualche tempo…
Una sera la formica stava passeggiando quando vide un cacciatore che disseminava rametti appiccicosi per catturare gli uccelli.Combinazione da quelle parti si trovava anche la colomba che era sul punto di posarsi su uno di quei rametti.
Allora velocissima, la formica, morse il piede del cacciatore che lasciò cadere tutti i rametti e scappò via a gambe levate.
La colomba fuggì spaventata e la formica riprese la sua strada.
UNA BUONA AZIONE NON E’ MAI INUTILE _________________
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mari79

Registrato: 05/03/05 10:45 Messaggi: 4705
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Inviato: Gio Apr 20, 2006 22:23 Oggetto: |
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Una fiaba............ e poi a nanna
Il Gatto con gli stivali
(traduzione di Collodi)
Un mugnaio, venuto a morte, non lasciò altri beni ai suoi tre figliuoli che aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo gatto.
Così le divisioni furono presto fatte: né ci fu bisogno dell'avvocato e del notaro; i quali, com'è naturale, si sarebbero mangiata in un boccone tutt'intera la piccola eredità.
Il maggiore ebbe il mulino.
Il secondo, l'asino.
E il minore dei fratelli ebbe solamente il gatto.
Quest'ultimo non sapeva darsi pace, per essergli toccata una parte così meschina.
"I miei fratelli", faceva egli a dire, "potranno tirarsi avanti onestamente, menando vita in comune: ma quanto a me, quando avrò mangiato il mio gatto, e fattomi un manicotto della sua pelle, bisognerà che mi rassegni a morir di fame."
Il gatto, che sentiva questi discorsi, e faceva finta di non darsene per inteso, gli disse con viso serio e tranquillo:
"Non vi date alla disperazione, padron mio! Voi non dovete far altro che trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per andare nel bosco; e dopo vi farò vedere che nella parte che vi è toccata, non siete stato trattato tanto male quanto forse credete".
Sebbene il padrone del gatto non pigliasse queste parole per moneta contante, a ogni modo gli aveva visto fare tanti giuochi di destrezza nel prendere i topi, or col mettersi penzoloni, attaccato per i piedi, or col fare il morto, nascosto dentro la farina, che finì coll'aver qualche speranza di trovare in lui un po' di aiuto nelle sue miserie.
Appena il gatto ebbe ciò che voleva, s'infilò bravamente gli stivali, e mettendosi il sacco al collo, prese le corde colle zampe davanti e se ne andò in una conigliera, dove c'erano moltissimi conigli.
Pose dentro al sacco un po' di crusca e della cicerbita: e sdraiandosi per terra come se fosse morto, aspettò che qualche giovine coniglio, ancora novizio dei chiapperelli del mondo, venisse a ficcarsi nel sacco per la gola di mangiare la roba che c'era dentro.
Appena si fu sdraiato, ebbe subito la grazia. Eccoti un coniglio, giovane d'anni e di giudizio, che entrò dentro al sacco: e il bravo gatto, tirando subito la funicella, lo prese e l'uccise senza pietà né misericordia.
Tutto glorioso della preda fatta andò dal Re, e chiese di parlargli.
Lo fecero salire nei quartieri del Re, dove entrato che fu fece una gran riverenza al Re, e gli disse:
"Ecco, Sire, un coniglio di conigliera che il signor marchese di Carabà", era il nome che gli era piaciuto di dare al suo padrone, "mi ha incaricato di presentarvi da parte sua".
"Di' al tuo padrone" rispose il Re "che lo ringrazio e che mi ha fatto un vero regalo."
Un'altra volta andò a nascondersi fra il grano, tenendo sempre il suo sacco aperto; e appena ci furono entrate dentro due pernici, tirò la corda e le acchiappò tutte e due.
Corse quindi a presentarle al Re, come aveva fatto per il coniglio di conigliera. Il Re gradì moltissimo anche le due pernici e gli fece dare la mancia.
Il gatto in questo modo continuò per due o tre mesi a portare di tanto in tanto ai Re la selvaggina della caccia del suo padrone.
Un giorno avendo saputo che il Re doveva recarsi a passeggiare lungo la riva del fiume insieme alla sua figlia, la più bella Principessa del mondo, disse al suo padrone:
"Se date retta a un mio consiglio, la vostra fortuna è fatta: voi dovete andare a bagnarvi nel fiume, e precisamente nel posto che vi dirò io: quanto al resto, lasciate fare a me".
Il marchese di Carabà fece tutto quello che gli consigliò il suo gatto, senza sapere a che cosa gli avrebbe potuto giovare.
Mentre egli si bagnava, il Re passò di là; e il gatto si messe a gridare con quanta ne aveva in gola:
"Aiuto, aiuto! affoga il marchese di Carabà".
A queste grida, il Re messe il capo fuori dallo sportello della carrozza e, riconosciuto il gatto, che tante volte gli aveva portato la selvaggina, ordinò alle guardie che corressero subito in aiuto del marchese di Carabà.
Intanto che tiravano su, fuori dell'acqua, il povero Marchese, il gatto avvicinandosi alla carrozza raccontò al Re che mentre il suo padrone si bagnava, i ladri erano venuti a portargli via i suoi vestiti, sebbene avesse gridato al ladro con tutta la forza dei polmoni. Il furbo trincato aveva nascosto i panni sotto un pietrone.
Il Re diè ordine subito agli ufficiali della sua guardaroba di andare a prendere uno dei più sfarzosi vestiari per il marchese di Carabà.
Il Re gli usò mille carezze, e siccome l'abito che gli avevano portato in quel momento faceva spiccare i pregi della sua persona (perché era bello e benissimo fatto), la Principessa lo trovò simpatico e di suo genio: e bastarono poche occhiate del marchese di Carabà, molto rispettose ma abbastanza tenere, perché ella ne rimanesse innamorata cotta.
Volle il Re che salisse nella sua carrozza, e facesse la passeggiata con essi.
Il gatto, contentissimo di vedere che il suo disegno cominciava a pigliar colore, s'avviò avanti; e avendo incontrato dei contadini, che segavano, disse loro:
"Buona gente che segate il fieno, se non dite al Re che il prato segato da voi appartiene al marchese di Carabà, sarete tutti affettati fini fini come carne da far polpette".
Il Re infatti domandò ai segatori di chi fosse il prato che segavano.
"È del marchese di Carabà", dissero tutti a una voce perché la minaccia del gatto li aveva impauriti.
"Voi avete di bei possessi", disse il Re al marchese di Carabà.
"Lo vedete da voi, Sire", rispose il Marchese.
"Questa è una prateria, che non c'è anno che non mi dia una raccolta abbondantissima."
Il bravo gatto, che faceva sempre da battistrada, incontrò dei mietitori, e disse loro:
"Buona gente che segate il grano, se non direte che tutto questo grano appartiene al signor marchese di Carabà, sarete stritolati fini fini come carne da far polpette".
Il Re, che passò pochi minuti dopo, volle sapere a chi appartenesse tutto il grano che vedeva.
"È del signor marchese di Carabà", risposero i mietitori.
E il Re se ne rallegrò col Marchese.
Il gatto, che trottava sempre avanti la carrozza, ripeteva sempre le medesime cose a tutti quelli che incontrava lungo la strada; e il Re rimaneva meravigliato dei grandi possessi del signor marchese di Carabà.
Finalmente il gatto arrivò a un bel castello, di cui era padrone un orco, il più ricco che si fosse mai veduto; perché tutte le terre, che il Re aveva attraversate, dipendevano da questo castello.
Il gatto s'ingegnò di sapere chi era quest'uomo, e che cosa sapesse fare: e domandò di potergli parlare, dicendo che gli sarebbe parso sconvenienza passare così accosto al suo castello senza rendergli omaggio e riverenza.
L'orco l'accolse con tutta quella cortesia che può avere un orco; e gli offrì da riposarsi.
"Mi hanno assicurato", disse il gatto, "che voi avete la virtù di potervi cambiare in ogni specie d'animali; e che vi potete, per dirne una, trasformare in leone e in elefante."
"Verissimo!", rispose l'orco bruscamente, "e per darvene una prova, mi vedrete diventare un leone."
Il gatto fu così spaventato dal vedersi dinanzi agli occhi un leone, che s'arrampicò subito su per le grondaie, ma non senza fatica e pericolo, a cagione dei suoi stivali, che non erano buoni a nulla per camminare sulle grondaie de' tetti.
Di lì a poco, quando il gatto si avvide che l'orco aveva ripresa la sua forma di prima, calò a basso e confessò di avere avuto una gran paura.
"Mi hanno per di più assicurato", disse il gatto, "ma questa mi par troppo grossa e non la posso bere, che voi avete anche la virtù di prendere la forma dei più piccoli animali; come sarebbe a dire, di cambiarvi, per esempio, in un topo o in una talpa: ma anche queste son cose, lasciate che ve lo ripeta, che mi paiono sogni dell'altro mondo!"
"Sogni?", disse l'orco. "Ora vi farò veder io!..."
E nel dir così, si cangiò in sorcio, e si messe a correre per la stanza.
Ma il gatto, lesto come un baleno, gli s'avventò addosso e lo mangiò.
Intanto il Re che, passando da quella parte, vide il bel castello dell'orco, volle entrarvi.
Il gatto, che sentì il rumore della carrozza che passava sul ponte-levatoio del castello, corse incontro al Re e gli disse:
"Vostra Maestà sia la benvenuta in questo castello del signor marchese di Carabà".
"Come! signor Marchese!", esclamò il Re. "Anche questo castello è vostro? Non c'è nulla di più bello di questo palazzo e delle fabbriche che lo circondano; visitiamolo all'interno, se non vi scomoda."
Il Marchese dette la mano alla Principessa; e seguendo il Re, che era salito il primo, entrarono in una gran sala, dove trovarono imbandita una magnifica merenda, che l'orco aveva fatta preparare per certi suoi amici che dovevano venire a trovarlo, ma che non avevano ardito di entrar nel castello, perché sapevano che c'era il Re.
Il Re, contento da non potersi dire, delle belle doti del marchese di Carabà, al pari della sua figlia, che n'era pazza, e vedendo i grandi possessi che aveva, dopo aver vuotato quattro o cinque bicchieri, gli disse:
"Signor Marchese! se volete diventare mio genero, non sta che a voi".
Il marchese, con mille reverenze, gradì l'alto onore fattogli dal Re, e il giorno dopo sposò la Principessa.
Il gatto diventò gran signore, e se seguitò a dar la caccia ai topi, lo fece unicamente per passatempo.
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mari79

Registrato: 05/03/05 10:45 Messaggi: 4705
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Inviato: Gio Mag 04, 2006 13:44 Oggetto: |
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Speranza di Gianni Rodari
Se io avessi una botteguccia
fatta di una sola stanza
vorrei mettermi a vendere
sai cosa? La speranza.
"Speranza a buon mercato!"
Per un soldo ne darei
ad un solo cliente
quanto basta per sei.
E alla povera gente
che non ha da campare
darei tutta la mia speranza
senza fargliela pagare.
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mari27

Registrato: 17/06/04 17:49 Messaggi: 6094
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Inviato: Dom Mag 07, 2006 10:38 Oggetto: |
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- Il pescatore -
Pescatore che vai sul mare
Quanti pesci puoi pescare?
Posso pescarne una barca piena
con un tonno e una balena,
ma quel ch'io cerco nella rete
forse voi non lo sapete:
cerco le scarpe del mio bambino
che va scalzo, poverino.
Proprio oggi ne ho visto un paio
nella vetrina del calzolaio:
ma ce ne vogliono di sardine
per fare un paio di scarpine.....
Poi con due calamaretti
gli faremo i legaccetti.
( Gianni Rodari)
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mari79

Registrato: 05/03/05 10:45 Messaggi: 4705
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Inviato: Gio Mag 11, 2006 22:57 Oggetto: |
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Il paese con l'esse davanti
di Gianni Rodari
Giovannino Perdigiorno era un grande viaggiatore. Viaggia e viaggia, capitò nel paese con l'esse davanti.
- Ma che razza di paese è? - domandò a un cittadino che prendeva il fresco sotto un albero.
Il cittadino, per tutta risposta, cavò di tasca un temperino e lo mostrò bene aperto sul palmo della mano.
- Vede questo?
- E' un temperino.
- Tutto sbagliato. Invece è uno «stemperino», cioè un temperino con l'esse davanti. Serve a far ricrescere le matite, quando sono consumate, ed è molto utile nelle scuole.
- Magnifico, - disse Giovannino. - E poi?
- Poi abbiamo lo «staccapanni».
- Vorrà dire l'attaccapanni.
- L'attaccapanni serve a ben poco, se non avete il cappotto da attaccarci. Col nostro «staccapanni» è tutto diverso. Lì non bisogna attaccarci niente, c'è già tutto attaccato. Se avete bisogno di un cappotto andate lì e lo staccate. Chi ha bisogno di una giacca, non deve mica andare a comprarla: passa dallo staccapanni e la stacca. C'è lo staccapanni d'estate e quello d'inverno, quello per uomo e quello per signora. Così si risparmiano tanti soldi.
- Una vera bellezza. E poi?
- Poi abbiamo la macchina «sfotografica», che invece di fare le fotografie fa le caricature, così si ride. Poi abbiamo lo «scannone».
- Brrr, che paura.
- Tutt'altro. Lo «scannone» è il contrario del cannone, e serve per disfare la guerra.
- E come funziona?
- E' facilissimo, può adoperarlo anche un bambino. Se c'è la guerra, suoniamo la stromba, spariamo lo scannone e la guerra è subito disfatta.
Che meraviglia il paese con l'esse davanti. _________________
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mari79

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Inviato: Mer Mag 24, 2006 13:28 Oggetto: |
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E prima del riposino del pomeriggio, una bella favola...................
FIABE NORDICHE
Gli undici cigni. (Danimarca)
C'era una volta un re che aveva undici figli ed una figlia. Era rimasto vedovo da tempo, e decise di risposarsi. Ma senza saperlo scelse come moglie una strega, a cui i suoi figliastri proprio non piacevano per niente. Per questo motivo mandò la sua figliastra a fare la sguattera in un castello lontano; ma questo non le bastava, per cui decise di trasformare gli undici figliastri in cigni. Di giorno erano cigni, e solo per poche ore alla notte potevano diventare umani.
Dopo un anno la figlia tornò dal castello e non trovò più i suoi fratelli. Disperata, decise di partire per cercarli. Attraversò foreste e pianure, finchè non giunse in un bosco vicino ad una montagna. In questo bosco c'era una capanna, dove c'era una vecchia strega che filava. La ragazza le chiese notizie dei suoi fratelli e la strega disse soltanto di aver visto undici bellissimi cigni che facevano il bagno in uno stagno vicino.
La ragazza andò a spiare lo stagno e vide che di notte i cigni ridiventavano i suoi fratelli. Poté di nuovo abbracciarli, ma loro le dissero che al mattino dovevano ridiventare cigni per via della maledizione della matrigna. Lei raccontò tutto alla strega della foresta, che le disse di non poter fare niente: lei era una strega buona, e le streghe buone non possono niente contro le magie fatte dalle streghe cattive. Ma le disse il modo di sciogliere l'incantesimo: Dovrai andare in un campo poco lontano da qui che è fatato, raccogliere dei cardi, filarli e preparare per loro delle camice che dovrai far loro indossare per mandare via l'incantesimo!
La ragazza accettò ed iniziò ad andare nel campo, dove si punse e graffiò per raccogliere i cardi. La vecchia le aveva anche detto che non doveva parlare di questa cosa con nessuno.
Un giorno, mentre stava raccogliendo i cardi passò di lì un principe che si innamorò di lei e decise di sposarla. La giovane accettò, ma continuò a filare i cardi. Purtroppo il principe aveva una madre che era una strega e conosceva bene la matrigna della ragazza. Decise di rovinare la vita della giovane nuora.
La ragazza, anche da sposata, e anche se aspettava un bambino, continuava a cucire le camice di cardo per i suoi fratelli. Suo marito dovette partire per un lungo viaggio, proprio quando il bambino doveva nascere. Lei diede alla luce due bambini, ma la matrigna mise al loro posto due grossi ed orrendi ragni, e disse che era una strega, che aveva fatto tutto facendo una magia con i cardi.
Allora le streghe venivano bruciate vive, e la giovane fu portata al rogo: stava finendo di fare le camice per i suoi fratelli. Di colpo arrivarono tutti gli undici cigni e lei li ritrasformò in umani buttando loro sopra le camice. Poté allora raccontare tutta la sua storia. Le due streghe cattive dovettero fuggire via dai regni di tutta fretta, che furono regnati dalla ragazza, da suo marito e dagli undici fratelli con giustizia e dignità. _________________
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genziana

Registrato: 22/03/04 13:40 Messaggi: 37917
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Inviato: Mar Mag 30, 2006 13:48 Oggetto: GUIDO GOZZANO, LE FIABE... di Rivombrosa |
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Quando il sughero pesava
e la pietra era leggera
come il ricciolo dell'ava
c'era, allora, c'era... c'era...
... una principessa chiamata Nevina che viveva sola col padre Gennaio.
Lassù, nel candore perpetuo, abbagliante, inaccessibile agli uomini, il Re
Gennaio preparava la neve con una chimica nota a lui solo; Nevina la
modellava su piccole forme tolte dagli astri e dagli edelweiss, poi, quando
la cornucopia era piena, la vuotava secondo il comando del padre ai
quattro punti dell'orizzonte. E la neve si diffondeva sul mondo.
Nevina era pallida e diafana, bella come le dee che non sono più: le sue
chiome erano appena bionde, d'un biondo imitato dalla Stella Polare, il
suo volto, le sue mani avevano il candore della neve non ancora caduta,
l'occhio era cerulo come l'azzurro dei ghiacciai.
Nevina era triste.
Nelle ore di tregua, quando la notte era serena e stellata e il padre
Gennaio sospendeva l'opera per dormire nell'immensa barba fluente,
Nevina s'appoggiava ai balaustri di ghiaccio, chiudeva il mento tra le
mani e fissava l'orizzonte lontano, sognando.
Una rondine ferita che valicava le montagne, per recarsi nelle terre del
sole, era caduta nelle sue mani, che avevano tentato invano di confortarla;
nei brividi dell'agonia la rondine aveva delirato, sospirando il mare, i fiori,
i palmizi, la primavera senza fine. E Nevina da quel giorno sognava le
terre non viste.
Una notte decise di partire. Passò cauta sulla barba fluente di Gennaio,
lasciò il ghiaccio e la neve eterna, prese la via della valle, si trovò fra gli
abeti. Gli gnomi che la vedevano passare diafana, fosforescente nelle
tenebre della foresta, interrompevano le danze, sostavano cavalcioni sui
rami, fissandola con occhi curiosi e ridarelli.
- Nevina!
- Nevina! Dove vai?
- Nevina, danza con noi!
- Nevina, non ci lasciare!
E gli Spiritelli benigni le facevano ressa intorno, tentavano di arrestarle il
passo abbracciandole con tutta forza la caviglia, cercavano di
imprigionarle i piedi leggeri entro rami d'edera e di felce morta.
Nevina sorrideva, sorda ai richiami affettuosi, toglieva dalla cornucopia
d'argento una falda di neve, la diffondeva intorno, liberandosi dei piccoli
compagni di gioco. E proseguiva il cammino diafana, silenziosa, leggera
come le dee che non sono più.
Giunse a valle, fu sulla grande strada.
L'aria si mitigava. Un senso d'affanno opprimeva il cuore di Nevina;
per respirare toglieva dalla cornucopia una falda di neve, la diffondeva
intorno, ritrovava le forze e il respiro nell'aria fatta gelida subitamente.
Proseguì rapida, percorse gran tratto di strada. Ad un crocevia sostò in
estasi, con gli occhi abbagliati. Le si apriva dinnanzi uno spazio ignoto,
una distesa azzurra e senza fine, come un altro cielo tolto alla volta
celeste, disteso in terra, trattenuto, agitato ai lembi da mani invisibili.
Nevina proseguì sbigottita. La terra intorno mutava. Anemoni, garofani,
mimose, violette, reseda, narcisi, giacinti, giunchiglie, gelsomini,
tuberose, fin dove l'occhio giungeva, dal colle al mare, mal frenati dai
muri e dalle siepi dei giardini, i fiori straripavano come un fiume di petali
dove emergevano le case e gli alberi.
Gli ulivi distendevano il loro velo d'argento, i palmizi svettavano diritti,
eccelsi come dardi scagliati nell'azzurro.
Nevina volgeva gli occhi estasiati sulle cose mai viste, dimenticava di
diffondere la neve; poi l'affanno la riprendeva, toglieva una falda, si
formava intorno una zona di fiocchi candidi e d'aria gelida che le ridava il
respiro. E i fiori, gli ulivi, le palme guardavano pur essi con meraviglia la
giovinetta diafana che trasvolava in un turbine niveo e rabbrividivano al
suo passaggio.
Un giovane bellissimo, dal giustacuore verde e violetto, apparve innanzi
a Nevina, fissandola con occhi inquieti, vietandole il passo:
- Chi sei?
- Nevina sono. Figlia di Gennaio.
- Ma non sai, dunque, che questo non è il regno di tuo padre? Io sono
Fiordaprile, e non t'è lecito avanzare sulle mie terre. Ritorna al tuo
ghiacciaio, pel bene tuo e pel mio!
Nevina fissava il principe con occhi tanto supplici e dolci che Fiordaprile
si sentì commosso.
- Fiordaprile, lasciami avanzare! Mi fermerò poco. Voglio toccare quella
neve azzurra, verde, rossa, violetta che chiamate fiori, voglio immergere
le mie dita in quel cielo capovolto che è il mare!
Fiordaprile la guardò sorridendo; assentì col capo:
- Andiamo, dunque. Ti farò vedere tutto il mio regno.
Proseguirono insieme, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi,
estasiati
e felici. Ma via via che Nevina avanzava, una zona bigia offuscava
l'azzurro del cielo, un turbine di fiocchi candidi copriva i giardini
meravigliosi. Passarono in un villaggio festante; contadini e contadine
danzavano sotto i mandorli in fiore. Nevina volle che Fiordaprile la
facesse danzare: entrarono in ballo; ma la brigata si disperse con un
brivido, i suoni cessarono, l'aria si fece di gelo; e dal cielo fatto bigio
cominciarono a scendere, con la neve odorosa dei mandorli, i petali gelidi
della neve, la vera neve che Nevina diffondeva al suo passaggio. I due
dovettero fuggire tra le querele irose della brigata. Giunti poco lungi,
volsero il capo e videro il paese di nuovo festante sotto il cielo rifatto
sereno...
- Nevina, ti voglio sposare!
- I tuoi sudditi non vorranno una regina che diffonde il gelo.
- Non importa. La mia volontà sarà fatta.
Avanzarono ancora, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi,
immemori e felici... Ma ad un tratto Nevina s 'arrestò coprendosi di
un pallore più diafano.
- Fiordaprile! Fiordaprile! ... Non ho più neve!
E tentava con le dita - invano - il fondo della cornucopia.
- Fiordaprile! ... Mi sento morire! .. . Portami al confine... Fiordaprile!...
Non reggo più!...
Nevina si piegava, veniva meno. Fiordaprile tentò di sorreggerla, la
prese fra le braccia, la portò di peso, correndo verso la valle.
- Nevina! Nevina!
Nevina non rispondeva. Si faceva diafana più ancora. Il suo volto
prendeva la trasparenza iridata della bolla che sta per dileguare.
- Nevina! Rispondi!
Fiordaprile la coprì col mantello di seta per difenderla dal sole ardente,
proseguì correndo, arrivò nella valle, per affidarla al vento di tramontana.
Ma quando sollevò il mantello Nevina non c'era più. Fiordaprile si guardò
intorno smarrito, pallido, tremante. Dov'era? L'aveva perduta per via?
Alzò le mani al volto, in atto disperato; poi il suo sguardo s'illuminò. Vide
Nevina dall'altra parte della valle che salutava con la mano protesa in un
addio sorridente.
Un suo vecchio precettore, il vento di tramontana, la sospingeva pei
sentieri nevosi, verso il ghiaccio eterno, verso il regno inaccessibile del
padre Gennaio.
Le Fiabe di Guido Gozzano sono 25, scritte dal 1809 al 1914 per il
"Corrierino dei Piccoli" e un'altro giornalino "Adolescenza". "Parlano di
amori fra creature bizzarre, di fate permalose o angeliche, di incredibili
magie. Virtù e vizi si danno battaglia senza quartiere, proprio come nel
mondo inquieto in cui stiamo perigliosamente vivendo." (recensione Ibs)
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